Lìberos

Come stanno i bibliotecari?

Pubblicato il 20-11-2012

bibliotecariCasa è dove stai bene.
E io, fortunatamente, ho parecchie case.

Tra queste, ci sono senz’altro le biblioteche: cittadine, paesane, rionali, universitarie. Ne ho visitato qualcuna da lettrice e tantissime altre da quando ricevo – come autrice ed editrice – inviti dalle biblioteche più disparate e soprattutto disperate, visti i vergognosi tagli che le stanno portando al tracollo (economico ma mai qualitativo, grazie alla professionalità e alla cocciutaggine di chi ci lavora).

Nella biblioteca comunale della mia città, ho messo le radici da una decina d’anni: conosco ogni nome, ogni sorriso, ogni cambiamento di umore di chi, da dietro la scrivania o il bancone, oltre a darmi i libri in prestito mi chiede come sto. E mi dice come sta.
E così, appena ho un momento libero, varco la soglia dell’elegante Palazzo d’Usini di Piazza Tola per poi andar via anche senza libri in prestito, ma con  sorrisi altrettanto piacevoli e gratuiti (e senza limiti numerici né temporali).

 

Nelle biblioteche della mia Facoltà (Lettere) ho trascorso anni a studiare (poco) e socializzare (molto). Le feste di compleanno a sorpresa (di/ per/ con) bibliotecarie e professori, lo spoglio elettorale in diretta nella sala prestiti, la mia laurea miracolosa e qualunque evento da festeggiare – non-compleanni compresi – per stare tutti insieme nel posto più piacevole dell’Università (dopo l’atrio con il distributore delle bibite, ovviamente).
Le bibliotecarie dell’Università (quelle brave, quelle vere) hanno la capacità di recuperare libri di cui neanche gli autori ricordano l’esistenza e di consolarti dopo ogni esame non passato, offrendoti una cioccolata bollente e un abbraccio. Sono quelle che quando un docente va in pensione, o festeggiano la liberatio o piangono per il distacco. Sono quelle, inoltre, che si beccano quasi sempre il ringraziamento nelle tesi di laurea perché hanno la capacità di persuadere un bibliotecario cingalese o transilvano ad inviarti immediatamente la scannerizzazione di un papiro egizio. E poi ti aiutano a tradurlo in sardo.

Nella biblioteca di un’affascinante paese arroccato su un monte, sono andata a presentare il mio libro su De André. Caterina, la giovane bibliotecaria, ha commesso l’errore di svelarmi le sue doti musicali: da quel giorno l’ho incastrata per farmi accompagnare, in un tour di presentazioni, dal suo piacevole flauto traverso che io mi ostino a chiamare piffero (da qua: “bibliopifferaia”).
Lettrici appassionate come lei, sono capaci di trovare paesi sperduti e non citati da nessuna cartina geografica, pur di seguire il tour di presentazioni di Francesco Abate, portandosi dietro un’autrice rompiballe (la sottoscritta).

Nella biblioteca di un paese immerso in un verde brillante e accecante, ho incontrato Noemi. Per la presentazione del libro su De André ha messo su un evento che…neanche l’Academy Award (volgarmente detto “Premio Oscar”, ma con meno bonazzi e bonazze: mi perdonino i presenti) e ha cercato, trovato ed esposto in uno scaffale speciale, una parte dei libri a cui Faber si è ispirato per scrivere i testi delle sue poesie in musica. Quella sera è riuscita anche a farmi piangere, invitando a sorpresa il coro del paese che ha dedicato una versione deliziosa di “Creuza de ma” alle mie famiglie dell’Aquila e dell’Asinara (che ascoltavano tutto in diretta telefonica).
C’è chi si limita ad appendere una locandina e ad aprire e chiudere la biblioteca per le presentazioni, con orologio alla mano e sguardo scocciato. C’è chi, invece, la presentazione di un libro la vive con passione.

In un’altra piccola e curata biblioteca, ho conosciuto Alessandra. Se all’ingresso ci fossero un campanello e un tappeto con la scritta “Benvenuti a casa mia”, mi sembrerebbe di entrarci davvero, a casa sua. E mia. E di tante altre persone. C’è un via vai bellissimo e colorato, in quella biblioteca: la mattina i lettori (in gergo, “utenti”) portano la torta al cioccolato fatta in casa alle bibliotecarie, per la colazione. Alla fine delle nostre presentazioni, le lettrici più scatenate portano dolci di ogni tipo e vino rosso – di quello buono – fatto in casa: una sorta di terzo tempo letterario durante il quale scrittori, editori, lettori e bibliotecari posano i libri e alzano i gomiti (non è vero, siamo tutti astemi: però sapevo che vi aspettavate un po’ di alcol a un certo punto del racconto, quindi non volevo deludervi). Ad Halloween, la biblioteca stava per esplodere, e questa volta Una bomber non c’entra niente: i lettori affollavano ogni angolo del pavimento per leggere o anche solo sentire i racconti dell’orrore a lume di candela, e assaggiare i muffin al cioccolato di Alessandra (e la torta di sua madre e quelle delle sue utenti).

Sono queste, le biblioteche di casa mia. E’ qua che mi piace rinchiudermi per ore a cercare, leggere, appuntare, chiedere.
E sono questi, i bibliotecari che spero di incontrare ad ogni presentazione. Sono quelli che anche se non ci sono soldi riescono a creare eventi interessanti, a strappare i ragazzini dalla noia e dalla playstation e indurli a leggere, ad attirare anche i loro genitori, a creare situazioni di ‘contagio letterario’, ad accogliere lettori forti e lettori deboli con lo stesso sorriso, a far sì che chiunque entri in biblioteca si senta seguito, coccolato e nelle mani di persone competenti che per anni hanno studiato per svolgere al meglio quel lavoro, che per molti di loro è una sorta di “missione”.

La cultura, però, purtroppo è al ribasso: sempre più spesso i bravi bibliotecari tornano a casa senza un lavoro, sostituiti da chi, non avendo mai lavorato in una biblioteca, si arrangia come può.

E i lettori? Che il Tar gliela mandi buona (la bibliotecaria).

(questo articolo è solo un pretesto per fare un grosso in bocca al lupo ai TREDICI lavoratori della Comes, ora in cassa integrazione. Il perché è talmente assurdo che devo rimandarvi a un link, perché non trovo parole abbastanza diplomatiche per spiegarvelo)


Chi lo ha scritto

Silvia Sanna è scrittrice, militante contro ogni ingiustizia che si muova (e anche quelle che stanno ferme), appassionata folle di Faber e editrice (insieme a una socia) della piccola realtà editoriale Voltalacarta. Il suo ultimo libro, Una Bomber, è ambientato nel mondo del calcio femminile.

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