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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


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Michela L.


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La zona d'interesse
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"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
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"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Irvin D. Yalom

Il problema Spinoza

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 28-09-2017 da Luisa
Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
Disponibile in 4 librerie
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Estonia, 1910. Il diciassettenne Alfred Rosenberg viene convocato nell'ufficio del preside Epstein. Gli occhi grigio-azzurri, il mento sollevato con un'aria di sfida, i pugni serrati, il ragazzo adduce ben poco per difendersi dall'accusa di aver proferito violenti commenti antisemiti in classe. All'ebreo Epstein non resta perciò che condannarlo a una singolare punizione: imparare a memoria alcuni passi dell'autobiografia di Goethe, il poeta che l'adolescente dichiara di venerare come emblema stesso del popolo tedesco. In particolare si tratta dei brani in cui l'autore del Faust si dichiara fervente ammiratore di Baruch Spinoza, il grande filosofo ebreo del diciassettesimo secolo.
La lettura insinua nella mente del giovane Rosenberg un tarlo che lo accompagnerà per il resto della vita: come può il sommo Goethe aver tratto ispirazione da un uomo di razza inferiore? Amsterdam, 1656. Bento, in ebraico Baruch, Spinoza ha ventitré anni: la sua famiglia è di origine portoghese, sfuggita all'Inquisizione e riparatasi nella più tollerante Olanda. L'aspetto del giovane Baruch è distinto e raffinato: i lineamenti aggraziati, la pelle priva di imperfezioni, gli occhi grandi, scuri e profondi. E, dietro quegli occhi, una mente che non esita a elaborare pensieri eccentrici sulla fede, e idee sul mondo così poco ortodosse da attirare il sospetto di eresia.
Bento di nascosto si istruisce sulla lingua e le idee di Aristotele e dei grandi filosofi greci presso l'accademia di Franciscus van den Enden, un elegante uomo di mondo, quel mondo esterno così inviso alla comunità ebraica.
Con iniziale sgomento di Spinoza, van den Enden addirittura osa affidare parte dell'insegnamento alla figlia Clara Maria, una giovane dal collo lungo e il sorriso seducente di cui Baruch si invaghisce a tal punto da concepire pensieri impuri e desideri impronunciabili tra le mura della comunità.
Il risultato di questa educazione filosofica e sentimentale è scontato: il giovane pensatore viene scomunicato e costretto a condurre una vita solitaria e appartata, che lo porterà tuttavia a produrre opere sublimi per profondità e drammaticità. Opere che trecento anni dopo non smettono di tormentare, sotto forma di incessanti domande, l'«ariano» Rosenberg, divenuto uno dei fondatori del partito nazista e stretto collaboratore di Hitler: davvero Baruch Spinoza, quest'uomo appartenente a una razza da sterminare, è riuscito a sviluppare un pensiero filosofico così lucido e geniale? O forse il segreto della sua genialità non sta nella sua mente, ma altrove? Magari nella sua piccola biblioteca personale, su cui la guerra consente di mettere le mani?
Dopo aver indagato i fantasmi della mente di Nietzsche e Schopenhauer, Yalom illumina la vita misteriosa e controversa di Baruch Spinoza nella Amsterdam del Seicento e l'ossessione per le sue opere nella Germania antisemita del secolo scorso.

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Noce Moscata

 

Siamo uomini o spugne?
 
Siamo in Estonia. L’adolescente Alfred Rosenberg è visibilmente sconvolto. Per due ragioni: una, perché è stato aspramente rimproverato dal preside ebreo , a cui è giunta notizia di un suo discorso antisemita, l’altra perché ha scoperto che Goethe, il sommo vate tedesco, nutre profonda ammirazione per Spinoza, filosofo ebreo del ‘600. Per il piccolo Rosenberg, venire a capo di questo Cubo di Rubik, e scoprire come le parole di Spinoza possano essere state “sedativo” per le passioni di Goethe, diventa una malattia che lo accompagna per tutta la vita. Come è potuto accadere che uno dei suoi idoli culturali, possa essere rimasto affascinato dal pensiero di un ebreo, com’è potuto avvenire un simile tradimento (ah, tu quoque Goethe)?
 
Questo è l’espediente narrativo utilizzato da Yalom per collegare due figure così distanti sia cronologicamente che eticamente come Rosenberg, ideologo del nazismo, e Baruch Spinoza. Un ponticello esile mi pareva, ma mi sono accorta presto che la bandiera sotto la quale sventolano le due esistenze è un’altra.
 
La risposta l’ho trovata in un film. Avete presente Stanley Kramer? Giusto per farvi capire, è un regista agli antipodi di Kim Ki-Duk, cioè uno che della verbosità ne fa un’arte. Ma non con la retorica Allenniana che riesce a farvi arrotolare il cervello, la sua è più un ars oratoria da Gasmann-mattatore, un esercizio retorico mai superficiale che riesce ad affascinare sia nelle commedie che nei drammi. Ma non è questa la sede adatta per spacciarvi tutta la sua filmografia. Il lungometraggio che mi interessa “raccontarvi” è uno solo: “E l’uomo creò Satana.”
 
In un piccolo paesino puritano dell’America, alle otto spaccate del mattino il reverendo Geremia Brown insieme al sindaco e ad altri moraleggianti amici, si presenta a scuola per arrestare un insegnante: l’allampanatissimo Dick York (sì, proprio il Darrin di Vita da strega) che si lascia condurre incredulo in prigione. L’accusa è di aver spiegato le teorie evoluzionistiche di Darwin a degli scolari minorenni. Quindi reato di corruzione e anti-creazionismo.  Il processo acquista subito un’eco mediatico importante, ragione per cui vengono chiamati a sostenere l’accusa e la difesa, due altrettanto importanti avvocati. Il giovane insegnante ha anche una fidanzata, che incidentalmente è proprio la figlia del reverendo, e ben lungi dall’essere la grande donna che sta dietro al grande uomo, gli consiglia di ritornare sui suoi passi, e di smettere di volere a tutti i costi insegnare che l’uomo non è nato come una pianta di geranio in vaso, e che la creazione è un fenomeno un tantino più lungo di sette giorni. Facilmente intuibile come lui rifiuti la proposta caparbiamente, consapevole del fatto che ciò significherebbe vendere la libertà della propria mente. Inizia quindi il drammatico processo. Nel frattempo Kramer si diverte un mondo con una trovata molto buffa: in tutti i tempi morti del film, ci infila a più non posso, coretti esaltatissimi di donnette azzimate che cantano a squarciagola sequele di Gloria e Alleluja, giusto per sottolineare, quanto la comunità paesana sia un pelino timorata di Dio. Il film è un concentrato di arringhe meravigliose, e la trama ha due spalle eccezionali: un cinico giornalista (Geene Kelly) che  Kramer utilizzerà per chiosare sulla solitudine dell’uomo che non crede in niente, e una donna, questa volta sì, donna grande e colonna portante del suo uomo, la moglie dell’avvocato Brady, accusatore ed amico di gioventù proprio dell’avvocato difensore. Ma quello che più ci interessa, è l’interrogatorio finale del Colonnello Drummond, avvocato della difesa, al Colonnello Brady, avvocato dell’accusa, eccezionalmente chiamato al banco dei testimoni come esperto delle Sacre Scritture. Il serratissimo interrogatorio punta a dimostrare non solo che il progresso è inevitabile se non vogliamo rimanere imbambolati per l’eternità davanti alla metaforica vetrina di una terra promessa, ma che è anche il frutto dell’unico attributo che ci distingue dagli altri esseri viventi, il raziocinio. Altrimenti che privilegi avremmo in più rispetto a una spugna? Quindi un unico concetto su cui fa leva tutta la pellicola, e a ben guardare tutto il mondo: la libertà di pensiero.
 
Che sia questa la risposta che Yalom carcava dal lettore? O da me?
 
Così pare stiano le cose: da una parte abbiamo un Baruch Spinoza, che condannato all’esilio dalla sua stessa comunità per le idee progressiste che osa avanzare, si rassegna e si vota a una solitudine produttiva. Si dedica interamente al suo pensiero filosofico, e semina cambiamenti nel mondo di portata tale che forse manco lui riusciva a immaginare dalla sua stanza “immobile” di metà seicento. E dall’altra abbiamo invece un uomo che fin da piccolo, non si rassegna minimamente  alla mediocrità del suo destino, peraltro fastidiosamente intuita in qualche momento di lucidità, e fa di tutto per cambiare il mondo, convinto di essere giusto nella sua aberrante convinzione di una superiorità ariana. Eppure il mondo anziché cambiare, regredisce a un livello medioevale di caccia alle streghe (ebree stavolta).
 
Incredibile: tutti questi avvenimenti grazie alla mente raziocinante di cui sono dotati sia Rosenberg che Spinoza.
 
Mi viene in mente una frase di Vittorini che riflettendo sull’ozio dice: 
 
“L’attivismo per l’attivismo m’è parso sempre roba da mosche, che appena smettono di volare attorno e si fermano, o si grattano la testa o si affilano le zampe posteriori.”
 
O in alternativa magari pensano, e non è sempre detto che i risultati siano grandiosi.
 

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Editore: Neri Pozza

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 441

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8854504475

ISBN-13: 9788854504479

Data di pubblicazione: 2012

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La lettura insinua nella mente del giovane Rosenberg un tarlo che lo accompagnerà per il resto della vita: come può il sommo Goethe aver tratto ispirazione da un uomo di razza inferiore? Amsterdam, 1656. Bento, in ebraico Baruch, Spinoza ha ventitré anni: la sua famiglia è di origine portoghese, sfuggita all'Inquisizione e riparatasi nella più tollerante Olanda. L'aspetto del giovane Baruch è distinto e raffinato: i lineamenti aggraziati, la pelle priva di imperfezioni, gli occhi grandi, scuri e profondi. E, dietro quegli occhi, una mente che non esita a elaborare pensieri eccentrici sulla fede, e idee sul mondo così poco ortodosse da attirare il sospetto di eresia.
Bento di nascosto si istruisce sulla lingua e le idee di Aristotele e dei grandi filosofi greci presso l'accademia di Franciscus van den Enden, un elegante uomo di mondo, quel mondo esterno così inviso alla comunità ebraica.
Con iniziale sgomento di Spinoza, van den Enden addirittura osa affidare parte dell'insegnamento alla figlia Clara Maria, una giovane dal collo lungo e il sorriso seducente di cui Baruch si invaghisce a tal punto da concepire pensieri impuri e desideri impronunciabili tra le mura della comunità.
Il risultato di questa educazione filosofica e sentimentale è scontato: il giovane pensatore viene scomunicato e costretto a condurre una vita solitaria e appartata, che lo porterà tuttavia a produrre opere sublimi per profondità e drammaticità. Opere che trecento anni dopo non smettono di tormentare, sotto forma di incessanti domande, l'«ariano» Rosenberg, divenuto uno dei fondatori del partito nazista e stretto collaboratore di Hitler: davvero Baruch Spinoza, quest'uomo appartenente a una razza da sterminare, è riuscito a sviluppare un pensiero filosofico così lucido e geniale? O forse il segreto della sua genialità non sta nella sua mente, ma altrove? Magari nella sua piccola biblioteca personale, su cui la guerra consente di mettere le mani?
Dopo aver indagato i fantasmi della mente di Nietzsche e Schopenhauer, Yalom illumina la vita misteriosa e controversa di Baruch Spinoza nella Amsterdam del Seicento e l'ossessione per le sue opere nella Germania antisemita del secolo scorso.

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Siamo in Estonia. L’adolescente Alfred Rosenberg è visibilmente sconvolto. Per due ragioni: una, perché è stato aspramente rimproverato dal preside ebreo , a cui è giunta notizia di un suo discorso antisemita, l’altra perché ha scoperto che Goethe, il sommo vate tedesco, nutre profonda ammirazione per Spinoza, filosofo ebreo del ‘600. Per il piccolo Rosenberg, venire a capo di questo Cubo di Rubik, e scoprire come le parole di Spinoza possano essere state “sedativo” per le passioni di Goethe, diventa una malattia che lo accompagna per tutta la vita. Come è potuto accadere che uno dei suoi idoli culturali, possa essere rimasto affascinato dal pensiero di un ebreo, com’è potuto avvenire un simile tradimento (ah, tu quoque Goethe)?
 
Questo è l’espediente narrativo utilizzato da Yalom per collegare due figure così distanti sia cronologicamente che eticamente come Rosenberg, ideologo del nazismo, e Baruch Spinoza. Un ponticello esile mi pareva, ma mi sono accorta presto che la bandiera sotto la quale sventolano le due esistenze è un’altra.
 
La risposta l’ho trovata in un film. Avete presente Stanley Kramer? Giusto per farvi capire, è un regista agli antipodi di Kim Ki-Duk, cioè uno che della verbosità ne fa un’arte. Ma non con la retorica Allenniana che riesce a farvi arrotolare il cervello, la sua è più un ars oratoria da Gasmann-mattatore, un esercizio retorico mai superficiale che riesce ad affascinare sia nelle commedie che nei drammi. Ma non è questa la sede adatta per spacciarvi tutta la sua filmografia. Il lungometraggio che mi interessa “raccontarvi” è uno solo: “E l’uomo creò Satana.”
 
In un piccolo paesino puritano dell’America, alle otto spaccate del mattino il reverendo Geremia Brown insieme al sindaco e ad altri moraleggianti amici, si presenta a scuola per arrestare un insegnante: l’allampanatissimo Dick York (sì, proprio il Darrin di Vita da strega) che si lascia condurre incredulo in prigione. L’accusa è di aver spiegato le teorie evoluzionistiche di Darwin a degli scolari minorenni. Quindi reato di corruzione e anti-creazionismo.  Il processo acquista subito un’eco mediatico importante, ragione per cui vengono chiamati a sostenere l’accusa e la difesa, due altrettanto importanti avvocati. Il giovane insegnante ha anche una fidanzata, che incidentalmente è proprio la figlia del reverendo, e ben lungi dall’essere la grande donna che sta dietro al grande uomo, gli consiglia di ritornare sui suoi passi, e di smettere di volere a tutti i costi insegnare che l’uomo non è nato come una pianta di geranio in vaso, e che la creazione è un fenomeno un tantino più lungo di sette giorni. Facilmente intuibile come lui rifiuti la proposta caparbiamente, consapevole del fatto che ciò significherebbe vendere la libertà della propria mente. Inizia quindi il drammatico processo. Nel frattempo Kramer si diverte un mondo con una trovata molto buffa: in tutti i tempi morti del film, ci infila a più non posso, coretti esaltatissimi di donnette azzimate che cantano a squarciagola sequele di Gloria e Alleluja, giusto per sottolineare, quanto la comunità paesana sia un pelino timorata di Dio. Il film è un concentrato di arringhe meravigliose, e la trama ha due spalle eccezionali: un cinico giornalista (Geene Kelly) che  Kramer utilizzerà per chiosare sulla solitudine dell’uomo che non crede in niente, e una donna, questa volta sì, donna grande e colonna portante del suo uomo, la moglie dell’avvocato Brady, accusatore ed amico di gioventù proprio dell’avvocato difensore. Ma quello che più ci interessa, è l’interrogatorio finale del Colonnello Drummond, avvocato della difesa, al Colonnello Brady, avvocato dell’accusa, eccezionalmente chiamato al banco dei testimoni come esperto delle Sacre Scritture. Il serratissimo interrogatorio punta a dimostrare non solo che il progresso è inevitabile se non vogliamo rimanere imbambolati per l’eternità davanti alla metaforica vetrina di una terra promessa, ma che è anche il frutto dell’unico attributo che ci distingue dagli altri esseri viventi, il raziocinio. Altrimenti che privilegi avremmo in più rispetto a una spugna? Quindi un unico concetto su cui fa leva tutta la pellicola, e a ben guardare tutto il mondo: la libertà di pensiero.
 
Che sia questa la risposta che Yalom carcava dal lettore? O da me?
 
Così pare stiano le cose: da una parte abbiamo un Baruch Spinoza, che condannato all’esilio dalla sua stessa comunità per le idee progressiste che osa avanzare, si rassegna e si vota a una solitudine produttiva. Si dedica interamente al suo pensiero filosofico, e semina cambiamenti nel mondo di portata tale che forse manco lui riusciva a immaginare dalla sua stanza “immobile” di metà seicento. E dall’altra abbiamo invece un uomo che fin da piccolo, non si rassegna minimamente  alla mediocrità del suo destino, peraltro fastidiosamente intuita in qualche momento di lucidità, e fa di tutto per cambiare il mondo, convinto di essere giusto nella sua aberrante convinzione di una superiorità ariana. Eppure il mondo anziché cambiare, regredisce a un livello medioevale di caccia alle streghe (ebree stavolta).
 
Incredibile: tutti questi avvenimenti grazie alla mente raziocinante di cui sono dotati sia Rosenberg che Spinoza.
 
Mi viene in mente una frase di Vittorini che riflettendo sull’ozio dice: 
 
“L’attivismo per l’attivismo m’è parso sempre roba da mosche, che appena smettono di volare attorno e si fermano, o si grattano la testa o si affilano le zampe posteriori.”
 
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