Nella New York di fine Ottocento, una giovane donna appartenente a una delle più illustri e ricche famiglie della città non esita a sfidare tutte le rigide convenzioni del suo ambiente, pur di poter coronare il suo sogno d’amore. Ma la sua battaglia non sarà condivisa proprio dall’uomo che ama, il quale, pur riamandola, finirà per soccombere alle ipocrisie e ai pettegolezzi del mondo dorato che lo circonda, condannando ambedue a un’irrimediabile solitudine.
Scritto nel 1920, L’età dell’innocenza segna il punto più alto e complesso della ricerca sociale e letteraria dell’autrice: secco e spietato atto d’accusa nei confronti delle regole quasi “tribali” di una buona società puritana pronta a calpestare e schiacciare qualsiasi manifestazione autentica di sentimenti e passioni, il romanzo è però anche un minuzioso, partecipe, talvolta accorato scavo nella psicologia di una donna che vuole liberamente disporre della propria vita e dei propri affetti, senza cedere di un millimetro all’orrore sociale in cui le è toccato vivere.
Tutto ciò non condurrà tuttavia a gesti o atteggiamenti eclatanti. La vita agiata e tranquilla dei personaggi continuerà a scorrere apparentemente senza sussulti, nel pieno rispetto delle buone maniere. Ma in quel corpo dall’aspetto granitico si sarà ormai prodotta la lesione immedicabile della solitudine e della morte dell’amore: una ferita che la protagonista coltiverà dentro di sé come il segno di una rischiosa differenza, ma anche come la garanzia irrevocabile della sua dignità di essere umano.