Polvere è una allegoria della potenza e pervasività del Male, delle insidie tese agli uomini dal grande Avversario. Lo lascia avvertire anche certo linguaggio concitato e solenne, a clausole brevi, fortemente pausate, ritmate da inversioni e iterazioni. Lo suggerisce, per altro verso, la nitidezza araldica delle scene belliche, i cavalli rampanti, le divise, gli stendardi. Questi tratti ricorrenti vengono tuttavia assorbiti dal contesto realistico, dalle minuzie restrittive del paesaggio e delle occupazioni umane al villaggio. Come se una sacra rappresentazione «d’antan» (la disfida tra Dio e il Diavolo, tra la dannazione e la grazia) cercasse di forzare le pieghe del mondo visibile, chiamando allo scoperto il volto del demoniaco.
«La Stampa», 10 febbraio 2001