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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Tess dei d'Urberville

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 23-11-2015 da Michela L.
Aggiornato il 23-11-2015 da Michela L.
Disponibile in 2 librerie
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Aggiornato il 23-11-2015 da Michela L.
Disponibile in 2 librerie

Danza sul prato con le altre fanciulle, viene violentata nel bosco a sedici anni, seppellisce in segreto il suo bambino, s'innamora, ma la sua vita sarà per sempre segnata da un tragico destino. Dalla nobile famiglia dei suoi avi, Tess ha ereditato una bellezza inalterabile, che la perseguita come il marchio di un'infamia; e il suo carattere fiero rende ancora più greve e intensa la sua sottomissione a un fato oscuro di morte e peccato. Rispetta il diritto degli altri a essere come sono ma gli altri non rispettano il suo diritto di essere come è. Sia Angel Clare che Alec d'Urberville distruggono la donna che è in lei, inseguendo un loro personale modello. Un 'drammone' di forza e potenza narrativa in cui natura e corruzione, amore e morte, nobiltà e miseria avvolgono la storia di Tess e ne fanno uno dei personaggi più riusciti della letteratura inglese.

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Noce Moscata

L'unico dramma è che vorresti non finisse mai

Ho passato anni ad ascoltare De Gregori. Ma sono altrettanti anni che non lo ascolto più. Eppure, non so come mai, gli ultimi due libri che ho letto mi hanno riportato alla mente alcune sue canzoni, e siccome non c’è due senza tre, ci ricasco nuovamente.

A mio avviso, l’idea canonica che abbiamo di una tragedia, è notevolmente influenzata dalla cinematografia. In ogni pellicola che tenga in minimo conto l’importanza della tensione narrativa, la serenità di una scena quotidiana è sempre seguita da un’improvvisa catastrofe. A un picnic familiare con plaid a quadretti e marito con golf giallo girasole, seguirà sempre il rapimento di un figlio, a una coppia che in macchina canta a squarciagola Let the sunshine in, seguirà sempre un incidente mortale, dietro una porta a vetri in stile liberty prima o poi si materializzerà un’ombra inquietante,  e così via. Anche concedendo il beneficio di varianti scenografiche il meccanismo rimane invariato. Serenità/ atmosfera distesa/ trullallero trullallà/ rilassamento partecipe dello spettat… Zac! Il dramma. 

Hardy non avrebbe apprezzato. In fondo chi ben comincia è già a metà dell’opera, perciò se tragedia ha da farsi, che si faccia fin dall’inizio. Tess è l’incarnazione perfetta del dramma più puro. Ci si affaccia sulla sua giovane vita sotto un cielo di fatica e indigenza. E da lì è un crescendo di colpe che pesano come macigni, di illusioni infrante, di miseria dell’animo. Il contesto rurale, il lavoro dei campi, i dettagli della povertà rimandano ai quadri di Bruegel il Vecchio, quindi qualche secolo prima che Tess fosse pensata da un Dio triste, o se vogliamo qualcosa di più nitido nella crudezza, ai Colori della passione di Majewski, dove Hardy si pone nella stessa prospettiva non tanto del pittore ma del mulino che poggia sulla roccia, dal quale il mugnaio “si limita a stare lì, e guarda dall’alto senza intervenire, egli è il mugnaio del cielo che macina il pane della vita e del destino”. È una Salita al Calvario interamente femminile, dove i maschi fungono solo da centrifuga, un vortice capace di risucchiare Tess in un sudario di stoicismo, che anziché renderla vittima sacrificale le imprime l’ultimo palpito di un cuore aristocratico, a cui lei stessa non aveva mai dato peso.  E siccome non si sa mai, potrebbe sempre accadere che il lettore, così coinvolto dalla storia si dimentichi di guardare dall’esterno, dallo stesso punto di vista del Bruegel seduto su un sasso a dipingere, puta caso il lettore si distraesse dall’oggettività del dramma, ecco che Hardy lo rimette subito in riga, aggiungendo al  destino beffardo le imposizioni della gerarchia sociale. E a questo punto l’affresco diventa sublime, la potenza della catastrofe  cede il posto alla gradazione dei toni, sfumature che Hardy ama trasporre sui cieli e sulle stagioni. Se saltate a caso, di pagina in pagina, di sventura in sventura, fate caso al tempo: vedrete che nelle sere di giugno l’atmosfera aveva un tale delicato equilibrio ed era tanto contagiosa che gli oggetti inanimati sembravano dotati di due o tre sensi, se non di cinque. Non c’era distinzione tra il vicino e il lontano, e l’ascoltatore si sentiva prossimo ad ogni cosa racchiusa dall’orizzonte; che nella caliginosa aurora d’agosto, i vapori notturni più densi, assaliti dai raggi caldi, si dividevano e contraevano in fiocchi isolati nelle cavità e nelle boscaglie dove attendono il momento di scomparire asciugando; che settembre sta arrivando allorquando le luci gialle contendono con le ombre azzurre tracciando striature come di capelli e l’atmosfera stessa dà forma al paesaggio senza l’aiuto di oggetti più saldi, all’infuori degli innumerevoli insetti alati che vi danzano in mezzo, e che in autunno il triste ottobre e la persona di lei ancor più triste sembravano le uniche due esistenze che infestassero quella strada

Al netto di questa atmosfera, ci troveremo davanti a un romanzo naturalista crudo, realista, e sgradevole come l’arancia dopo il dentifricio. In capo a due capitoli ci troveremmo con la toga del giudice a fare i moralisti e i predicozzi sull’autostima e i centri di recupero per donne violate e perdenti. Invece, per fortuna non abbiamo una Germinie Lacerteux ma una Tess, immersa in una vita infelice, ma troppo occupata a mantenere l’apnea per poterle dare un senso. Senza giudicarla, respiriamo noi per lei, ma non ne avremmo la capacità se Hardy non si fosse premunito di rimboccarci addosso quello sheltering sky che tutto vede e  a cui, allo stesso tempo fornisce ricovero.

Ma tornando all’unico e vero motivo per cui i lettori delle dieci prime righe di questa mia, sono giunti fino alla fine, cosa ci azzecca De Gregori in tutto questo? C’entra, perché se per strada incontrate una ragazza la cui faccia vi ricorda il crollo di una diga, e non scappate, ma anzi, le rivolgete il più bel sorriso da olocausto nucleare che avete in repertorio, allora questo è il libro che fa per voi. E Tess, ne sarebbe commossa. 

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Editore: Einaudi

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 530

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8806195174

ISBN-13: 9788806195175

Data di pubblicazione: 2008

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L'unico dramma è che vorresti non finisse mai

Ho passato anni ad ascoltare De Gregori. Ma sono altrettanti anni che non lo ascolto più. Eppure, non so come mai, gli ultimi due libri che ho letto mi hanno riportato alla mente alcune sue canzoni, e siccome non c’è due senza tre, ci ricasco nuovamente.

A mio avviso, l’idea canonica che abbiamo di una tragedia, è notevolmente influenzata dalla cinematografia. In ogni pellicola che tenga in minimo conto l’importanza della tensione narrativa, la serenità di una scena quotidiana è sempre seguita da un’improvvisa catastrofe. A un picnic familiare con plaid a quadretti e marito con golf giallo girasole, seguirà sempre il rapimento di un figlio, a una coppia che in macchina canta a squarciagola Let the sunshine in, seguirà sempre un incidente mortale, dietro una porta a vetri in stile liberty prima o poi si materializzerà un’ombra inquietante,  e così via. Anche concedendo il beneficio di varianti scenografiche il meccanismo rimane invariato. Serenità/ atmosfera distesa/ trullallero trullallà/ rilassamento partecipe dello spettat… Zac! Il dramma. 

Hardy non avrebbe apprezzato. In fondo chi ben comincia è già a metà dell’opera, perciò se tragedia ha da farsi, che si faccia fin dall’inizio. Tess è l’incarnazione perfetta del dramma più puro. Ci si affaccia sulla sua giovane vita sotto un cielo di fatica e indigenza. E da lì è un crescendo di colpe che pesano come macigni, di illusioni infrante, di miseria dell’animo. Il contesto rurale, il lavoro dei campi, i dettagli della povertà rimandano ai quadri di Bruegel il Vecchio, quindi qualche secolo prima che Tess fosse pensata da un Dio triste, o se vogliamo qualcosa di più nitido nella crudezza, ai Colori della passione di Majewski, dove Hardy si pone nella stessa prospettiva non tanto del pittore ma del mulino che poggia sulla roccia, dal quale il mugnaio “si limita a stare lì, e guarda dall’alto senza intervenire, egli è il mugnaio del cielo che macina il pane della vita e del destino”. È una Salita al Calvario interamente femminile, dove i maschi fungono solo da centrifuga, un vortice capace di risucchiare Tess in un sudario di stoicismo, che anziché renderla vittima sacrificale le imprime l’ultimo palpito di un cuore aristocratico, a cui lei stessa non aveva mai dato peso.  E siccome non si sa mai, potrebbe sempre accadere che il lettore, così coinvolto dalla storia si dimentichi di guardare dall’esterno, dallo stesso punto di vista del Bruegel seduto su un sasso a dipingere, puta caso il lettore si distraesse dall’oggettività del dramma, ecco che Hardy lo rimette subito in riga, aggiungendo al  destino beffardo le imposizioni della gerarchia sociale. E a questo punto l’affresco diventa sublime, la potenza della catastrofe  cede il posto alla gradazione dei toni, sfumature che Hardy ama trasporre sui cieli e sulle stagioni. Se saltate a caso, di pagina in pagina, di sventura in sventura, fate caso al tempo: vedrete che nelle sere di giugno l’atmosfera aveva un tale delicato equilibrio ed era tanto contagiosa che gli oggetti inanimati sembravano dotati di due o tre sensi, se non di cinque. Non c’era distinzione tra il vicino e il lontano, e l’ascoltatore si sentiva prossimo ad ogni cosa racchiusa dall’orizzonte; che nella caliginosa aurora d’agosto, i vapori notturni più densi, assaliti dai raggi caldi, si dividevano e contraevano in fiocchi isolati nelle cavità e nelle boscaglie dove attendono il momento di scomparire asciugando; che settembre sta arrivando allorquando le luci gialle contendono con le ombre azzurre tracciando striature come di capelli e l’atmosfera stessa dà forma al paesaggio senza l’aiuto di oggetti più saldi, all’infuori degli innumerevoli insetti alati che vi danzano in mezzo, e che in autunno il triste ottobre e la persona di lei ancor più triste sembravano le uniche due esistenze che infestassero quella strada

Al netto di questa atmosfera, ci troveremo davanti a un romanzo naturalista crudo, realista, e sgradevole come l’arancia dopo il dentifricio. In capo a due capitoli ci troveremmo con la toga del giudice a fare i moralisti e i predicozzi sull’autostima e i centri di recupero per donne violate e perdenti. Invece, per fortuna non abbiamo una Germinie Lacerteux ma una Tess, immersa in una vita infelice, ma troppo occupata a mantenere l’apnea per poterle dare un senso. Senza giudicarla, respiriamo noi per lei, ma non ne avremmo la capacità se Hardy non si fosse premunito di rimboccarci addosso quello sheltering sky che tutto vede e  a cui, allo stesso tempo fornisce ricovero.

Ma tornando all’unico e vero motivo per cui i lettori delle dieci prime righe di questa mia, sono giunti fino alla fine, cosa ci azzecca De Gregori in tutto questo? C’entra, perché se per strada incontrate una ragazza la cui faccia vi ricorda il crollo di una diga, e non scappate, ma anzi, le rivolgete il più bel sorriso da olocausto nucleare che avete in repertorio, allora questo è il libro che fa per voi. E Tess, ne sarebbe commossa. 

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