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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Paolo Montaldo

H&J

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (0)
Inserito il 28-09-2016 da Laura
Aggiornato il 28-09-2016 da Laura
Disponibile in 1 libreria
Inserito il 28-09-2016 da Laura
Aggiornato il 28-09-2016 da Laura
Disponibile in 1 libreria

Prefazione (di Ireneo Picciau)

Questo romanzo ci parla di autismo infantile. I manuali di psicopatologia e le storie di tutti i giorni ci raccontano che i bambini autistici mostrano un’apparente carenza di interesse e di reciprocità relazionale, una tendenza all’isolamento e alla chiusura sociale, accompagnata da una manifesta indifferenza emotiva, ma spesso anche da ipereccitabilità agli stimoli.
Uno dei segni più evidenti del disagio relazionale dei bambini affetti da autismo è dato dalla difficoltà a instaurare un contatto visivo diretto.
È un vivere con speciali limitazioni e con grandi difficoltà nella comunicazione, nella relazione con gli altri e con gli oggetti, evidenziando un notevole impaccio nell’adeguare i propri comportamenti alle attese della famiglia e del sociale.
Detto questo, tuttavia, occorre affermare con forza che ogni bambino affetto da autismo esprime questo disagio in modo del tutto personale e con gradazioni differenti dagli altri bambini, mantenendo comunque una sua spiccata e riconoscibile unicità.
Questa storia racconta la parabola esistenziale di Henry e dei suoi genitori, Paul ed Ann in un’America dai contorni sfumati, quasi decontestualizzati.
La prima sensazione che si prova nel leggere il romanzo di Paolo Montaldo, ed è una sensazione fortissima che non ci lascia fino alla fine, è di una lentezza ossessiva delle scene e degli accadimenti, che conduce alla conseguente considerazione che difficilmente si possa scrivere di autismo, senza restarne in qualche misura imprigionati.
Sebbene sia scritta in terza persona, la storia poggia fondamentalmente sulla figura del padre, un piccolo uomo comune alle prese con un problema ed un gravame eccessivo per le sue fragili risorse personali e materiali.
Nello stile narrativo dell’autore colpisce in modo particolare l’abbondanza dei rituali compulsivi nella sfera del pensiero, quel suo continuo rimuginare, in cui ogni concetto viene pensato, ribadito, ampliato ed enfatizzato, prima di essere sedimentato in un crescendo ossessivo di auto convincimento. Ogni riflessione, ogni decisione del personaggio conduttore della storia è preceduta e accompagnata da un ruminare di dubbi.

Per buona parte della narrazione si respira una dimensione on the road, dove manca però il gusto della trasgressione dei personaggi di Kerouac, ma anche il fascino della scoperta di sé, che troviamo nel libro di Ervas, un altro bel romanzo sull’autismo e sul rapporto padre-figlio.
Nella storia di Montaldo, invece, il viaggio in auto è descritto come un lungo, estenuante, interminabile calvario, perfetta metafora della dimensione esistenziale in cui è imprigionata questa famiglia. Il loro viaggio attraverso l’America, raccontata minuziosamente di città in città, è anche un viaggio attraverso se stessi, un viaggio triste e solitario, un viaggio in cui sono del tutto assenti i luoghi, ad eccezione degli alberghi, ed anche gli abitanti di quegli stessi luoghi sono del tutto inesistenti. Anche questa, a mio giudizio, è una perfetta metafora autistica dell’incomunicabilità in cui è avviluppata l’intera famiglia.

Accanto alle parti descrittive, debordano dalle pagine del romanzo riflessioni e disperati appelli esistenziali, frustrazioni e rimuginazioni, talvolta disperate, di un padre che ha accettato senza esitazioni il disturbo autistico del figlio, ma che non smette di interrogarsi su quella parola tabù: normalità. Quella normalità che al suo bambino ed all’intera famiglia è negata.
La storia è, quindi, un lungo, interminabile, doloroso viaggio. Il viaggio di essere padre e il viaggio dentro al mondo inesplorato dell’autismo.

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Editore: La Zattera

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 150

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8894088014

ISBN-13: 9788894088014

Data di pubblicazione: 2015

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Paolo Montaldo

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Prefazione (di Ireneo Picciau)

Questo romanzo ci parla di autismo infantile. I manuali di psicopatologia e le storie di tutti i giorni ci raccontano che i bambini autistici mostrano un’apparente carenza di interesse e di reciprocità relazionale, una tendenza all’isolamento e alla chiusura sociale, accompagnata da una manifesta indifferenza emotiva, ma spesso anche da ipereccitabilità agli stimoli.
Uno dei segni più evidenti del disagio relazionale dei bambini affetti da autismo è dato dalla difficoltà a instaurare un contatto visivo diretto.
È un vivere con speciali limitazioni e con grandi difficoltà nella comunicazione, nella relazione con gli altri e con gli oggetti, evidenziando un notevole impaccio nell’adeguare i propri comportamenti alle attese della famiglia e del sociale.
Detto questo, tuttavia, occorre affermare con forza che ogni bambino affetto da autismo esprime questo disagio in modo del tutto personale e con gradazioni differenti dagli altri bambini, mantenendo comunque una sua spiccata e riconoscibile unicità.
Questa storia racconta la parabola esistenziale di Henry e dei suoi genitori, Paul ed Ann in un’America dai contorni sfumati, quasi decontestualizzati.
La prima sensazione che si prova nel leggere il romanzo di Paolo Montaldo, ed è una sensazione fortissima che non ci lascia fino alla fine, è di una lentezza ossessiva delle scene e degli accadimenti, che conduce alla conseguente considerazione che difficilmente si possa scrivere di autismo, senza restarne in qualche misura imprigionati.
Sebbene sia scritta in terza persona, la storia poggia fondamentalmente sulla figura del padre, un piccolo uomo comune alle prese con un problema ed un gravame eccessivo per le sue fragili risorse personali e materiali.
Nello stile narrativo dell’autore colpisce in modo particolare l’abbondanza dei rituali compulsivi nella sfera del pensiero, quel suo continuo rimuginare, in cui ogni concetto viene pensato, ribadito, ampliato ed enfatizzato, prima di essere sedimentato in un crescendo ossessivo di auto convincimento. Ogni riflessione, ogni decisione del personaggio conduttore della storia è preceduta e accompagnata da un ruminare di dubbi.

Per buona parte della narrazione si respira una dimensione on the road, dove manca però il gusto della trasgressione dei personaggi di Kerouac, ma anche il fascino della scoperta di sé, che troviamo nel libro di Ervas, un altro bel romanzo sull’autismo e sul rapporto padre-figlio.
Nella storia di Montaldo, invece, il viaggio in auto è descritto come un lungo, estenuante, interminabile calvario, perfetta metafora della dimensione esistenziale in cui è imprigionata questa famiglia. Il loro viaggio attraverso l’America, raccontata minuziosamente di città in città, è anche un viaggio attraverso se stessi, un viaggio triste e solitario, un viaggio in cui sono del tutto assenti i luoghi, ad eccezione degli alberghi, ed anche gli abitanti di quegli stessi luoghi sono del tutto inesistenti. Anche questa, a mio giudizio, è una perfetta metafora autistica dell’incomunicabilità in cui è avviluppata l’intera famiglia.

Accanto alle parti descrittive, debordano dalle pagine del romanzo riflessioni e disperati appelli esistenziali, frustrazioni e rimuginazioni, talvolta disperate, di un padre che ha accettato senza esitazioni il disturbo autistico del figlio, ma che non smette di interrogarsi su quella parola tabù: normalità. Quella normalità che al suo bambino ed all’intera famiglia è negata.
La storia è, quindi, un lungo, interminabile, doloroso viaggio. Il viaggio di essere padre e il viaggio dentro al mondo inesplorato dell’autismo.

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