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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Gabriele D'Annunzio

Notturno

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 28-09-2016 da Laura
Aggiornato il 28-09-2016 da Laura
Disponibile in 1 libreria
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Aggiornato il 28-09-2016 da Laura
Disponibile in 1 libreria

con un'avvertenza di Giansiro Ferrata ; un saggio di Alfredo Gargiulo e una bibliografia

Nel 1916 un incidente aereo causa al poeta la perdita di un occhio e lo costringe per qualche tempo all'immobilità e al buio totale. L'esperienza di questa oscurità e l'attività introspettiva che essa favorisce sono la materia della prosa impressionistica del "Notturno" (cominciato appunto nel 1916 e pubblicato nel 1921), una prosa senza vincoli narrativi, che costruisce la propria struttura formale nella ritmata e pulsante successione di annotazioni, sogni, visioni, libere associazioni mentali, impressioni sensuali. Tutti i temi dannunziani si modulano e si armonizzano intorno alla nota fondamentale, notturna e fantastica, di questa scrittura musicale, che assorbe pause e gridi lirici, sospiri, eccitamenti, cupa fissità: amore della voluttà di vivere.

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Laura

È un d’Annunzio sotto vari aspetti inedito quello che prorompe dalle pagine del “Notturno”, senz’altro diverso rispetto al romanziere e al poeta di voluttuose raffinatezze che abbiamo conosciuto da quanto letto finora. Edita nella sua versione definitiva nel 1921, l’opera si caratterizza fin dalle prime battute come prosa personale, intima, sofferta: una sorta di memoriale dove non ci sono più lo spregiudicato esteta Sperelli, il tormentato Aurispa o il miserabile Episcopo, protagonisti di alcuni tra i suoi romanzi più noti, né la raffinata voce lirica dell’ “Alcyone” che canta di sere fiesolane e di “tamerici salmastre ed arse”. Qui c’è solo lui, Gabriele, un uomo di mezz’età, un soldato della Grande Guerra ferito e costretto, per un certo periodo, alla cecità pressoché totale a causa di un incidente aereo che, nel 1916, gli ha causato la perdita dell’occhio destro; un uomo che, di colpo, si ritrova nelle tenebre, in balia di febbre e deliri, di visioni e brandelli di vita lontana. In tutto quel buio, l’occhio perduto è come un cratere che fiammeggia aizzato da un demone, il letto viene avvertito come una bara e la morte, specie nelle prime settimane, è una presenza invadente che gli alita sul collo. L’opera, composta durante la convalescenza, è stata scritta dall’autore bendato su numerosissime liste di carta (circa diecimila) approntate ad arte per permettergli di scrivere pur in quella condizione; essa si compone di tre lunghi capitoli denominati “offerte” cui si aggiunge un’annotazione finale del ’21. Ad assistere d’Annunzio, sia come convalescente che come “scriba”, secondo la sua stessa suggestiva definizione, la figlia Renata che il padre chiama teneramente “la Sirenetta”. È lei a porgergli i cartigli del cui riordino lui poi si occuperà personalmente in quanto riluttante a darli in seguito all’editore per la stampa, ritenendo trattarsi di memorie troppo personali da far conoscere al suo pubblico. Per quanto riguarda questa unica figlia femmina nata da una relazione extraconiugale, il “Notturno” ci svela una paternità dolce e amorevole, a tratti pure orgogliosa, che in genere non è tra gli aspetti più conosciuti del Vate e che non si riscontra invece nel caso dei tre figli maschi legittimi. Molto belle le pagine dedicate alla Sirenetta; toccanti quelle che rievocano, quasi fosse un fantasma, la figura della madre del poeta. Un d’Annunzio padre e un d’Annunzio figlio, dunque, tra le sorprese di questa lettura. Un giudizio complessivo su quest’opera, che ci svela tutto il metafisico e l’onirico di d’Annunzio, non può, secondo noi, prescindere dalle condizioni in cui è stata concepita sopra descritte. Fermo restando che ognuno ha le sue idee su un personaggio poliedrico e controverso come d’Annunzio, a volte ci chiediamo se chi lo critica abbia davvero approfondito la sua conoscenza leggendo almeno qualcuna delle sue opere. Ci sono cose su cui si può discutere, come l’interventismo a oltranza nella Grande Guerra, ma appunto se ne può discutere; l’incredibile fama di seduttore e donnaiolo, ma a noi non risulta che abbia mai avuto rapporti con qualche donna contro la sua volontà; la sua contiguità con il fascismo, ma questa se hai letto solo un po’ di lui, è la cosa più risibile. C’è poi la faccenda del superuomo nicciano, che molti dicono sia stato ricreato nel carattere e nei comportamenti dei protagonisti dei suoi romanzi. Limitandoci solo alla trilogia della rosa, ci viene da dire: ma quelli che scrivono ‘ste baggianate li leggono i libri in questione? Andrea Sperelli, protagonista de “Il piacere”, vorrebbe essere un superuomo, ma alla fine quello che ne esce peggio è proprio lui aggirandosi per le stanze vuote della sua amante come se avesse preso una locomotiva in faccia. Giorgio Aurispa, ne “Il trionfo della morte”, non trova di meglio come escamotage da superuomo che suicidarsi con l’amata per fissare nell’eternità il suo amore. Tullio Hermil, ne “L’innocente”, addirittura dichiara apertamente che su questa terra non ci sarà per lui sollievo dal peccato che ha commesso. Alla faccia dei superuomini! Noi diciamo: ognuno resti delle sue idee, ma qualche volta, invece di spacciare per verità assolute notizie approssimative, è meglio rendere tutto con il beneficio del dubbio, in mancanza di proprie esperienze… (A.A. & L.V.)

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Editore: A. Mondadori

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 255

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8804227605

ISBN-13: 9788804227601

Data di pubblicazione: 1983

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con un'avvertenza di Giansiro Ferrata ; un saggio di Alfredo Gargiulo e una bibliografia

Nel 1916 un incidente aereo causa al poeta la perdita di un occhio e lo costringe per qualche tempo all'immobilità e al buio totale. L'esperienza di questa oscurità e l'attività introspettiva che essa favorisce sono la materia della prosa impressionistica del "Notturno" (cominciato appunto nel 1916 e pubblicato nel 1921), una prosa senza vincoli narrativi, che costruisce la propria struttura formale nella ritmata e pulsante successione di annotazioni, sogni, visioni, libere associazioni mentali, impressioni sensuali. Tutti i temi dannunziani si modulano e si armonizzano intorno alla nota fondamentale, notturna e fantastica, di questa scrittura musicale, che assorbe pause e gridi lirici, sospiri, eccitamenti, cupa fissità: amore della voluttà di vivere.

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È un d’Annunzio sotto vari aspetti inedito quello che prorompe dalle pagine del “Notturno”, senz’altro diverso rispetto al romanziere e al poeta di voluttuose raffinatezze che abbiamo conosciuto da quanto letto finora. Edita nella sua versione definitiva nel 1921, l’opera si caratterizza fin dalle prime battute come prosa personale, intima, sofferta: una sorta di memoriale dove non ci sono più lo spregiudicato esteta Sperelli, il tormentato Aurispa o il miserabile Episcopo, protagonisti di alcuni tra i suoi romanzi più noti, né la raffinata voce lirica dell’ “Alcyone” che canta di sere fiesolane e di “tamerici salmastre ed arse”. Qui c’è solo lui, Gabriele, un uomo di mezz’età, un soldato della Grande Guerra ferito e costretto, per un certo periodo, alla cecità pressoché totale a causa di un incidente aereo che, nel 1916, gli ha causato la perdita dell’occhio destro; un uomo che, di colpo, si ritrova nelle tenebre, in balia di febbre e deliri, di visioni e brandelli di vita lontana. In tutto quel buio, l’occhio perduto è come un cratere che fiammeggia aizzato da un demone, il letto viene avvertito come una bara e la morte, specie nelle prime settimane, è una presenza invadente che gli alita sul collo. L’opera, composta durante la convalescenza, è stata scritta dall’autore bendato su numerosissime liste di carta (circa diecimila) approntate ad arte per permettergli di scrivere pur in quella condizione; essa si compone di tre lunghi capitoli denominati “offerte” cui si aggiunge un’annotazione finale del ’21. Ad assistere d’Annunzio, sia come convalescente che come “scriba”, secondo la sua stessa suggestiva definizione, la figlia Renata che il padre chiama teneramente “la Sirenetta”. È lei a porgergli i cartigli del cui riordino lui poi si occuperà personalmente in quanto riluttante a darli in seguito all’editore per la stampa, ritenendo trattarsi di memorie troppo personali da far conoscere al suo pubblico. Per quanto riguarda questa unica figlia femmina nata da una relazione extraconiugale, il “Notturno” ci svela una paternità dolce e amorevole, a tratti pure orgogliosa, che in genere non è tra gli aspetti più conosciuti del Vate e che non si riscontra invece nel caso dei tre figli maschi legittimi. Molto belle le pagine dedicate alla Sirenetta; toccanti quelle che rievocano, quasi fosse un fantasma, la figura della madre del poeta. Un d’Annunzio padre e un d’Annunzio figlio, dunque, tra le sorprese di questa lettura. Un giudizio complessivo su quest’opera, che ci svela tutto il metafisico e l’onirico di d’Annunzio, non può, secondo noi, prescindere dalle condizioni in cui è stata concepita sopra descritte. Fermo restando che ognuno ha le sue idee su un personaggio poliedrico e controverso come d’Annunzio, a volte ci chiediamo se chi lo critica abbia davvero approfondito la sua conoscenza leggendo almeno qualcuna delle sue opere. Ci sono cose su cui si può discutere, come l’interventismo a oltranza nella Grande Guerra, ma appunto se ne può discutere; l’incredibile fama di seduttore e donnaiolo, ma a noi non risulta che abbia mai avuto rapporti con qualche donna contro la sua volontà; la sua contiguità con il fascismo, ma questa se hai letto solo un po’ di lui, è la cosa più risibile. C’è poi la faccenda del superuomo nicciano, che molti dicono sia stato ricreato nel carattere e nei comportamenti dei protagonisti dei suoi romanzi. Limitandoci solo alla trilogia della rosa, ci viene da dire: ma quelli che scrivono ‘ste baggianate li leggono i libri in questione? Andrea Sperelli, protagonista de “Il piacere”, vorrebbe essere un superuomo, ma alla fine quello che ne esce peggio è proprio lui aggirandosi per le stanze vuote della sua amante come se avesse preso una locomotiva in faccia. Giorgio Aurispa, ne “Il trionfo della morte”, non trova di meglio come escamotage da superuomo che suicidarsi con l’amata per fissare nell’eternità il suo amore. Tullio Hermil, ne “L’innocente”, addirittura dichiara apertamente che su questa terra non ci sarà per lui sollievo dal peccato che ha commesso. Alla faccia dei superuomini! Noi diciamo: ognuno resti delle sue idee, ma qualche volta, invece di spacciare per verità assolute notizie approssimative, è meglio rendere tutto con il beneficio del dubbio, in mancanza di proprie esperienze… (A.A. & L.V.)

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