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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Jonathan Safran Foer

Se niente importa

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (2)
Inserito il 28-09-2017 da Luisa
Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
Disponibile in 12 librerie
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Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
Disponibile in 12 librerie

Jonathan Safran Foer, da piccolo, trascorreva il sabato e la domenica con sua nonna. Quando arrivava, lei lo sollevava per aria stringendolo in un forte abbraccio, e lo stesso faceva quando andava via. Ma non era solo affetto, il suo: dietro c'era la preoccupazione costante di sapere che il nipote avesse mangiato a sufficienza. La preoccupazione di chi è quasi morto di fame durante la guerra, ma è stato capace di rifiutare della carne di maiale che l'avrebbe tenuto in vita, perché non era cibo kosher, perché "se niente importa, non c'è niente da salvare". Il cibo per lei non è solo cibo, è "terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore". Una volta diventato padre, Foer ripensa a questo insegnamento e inizia a interrogarsi su cosa sia la carne, perché nutrire suo figlio non è come nutrire se stesso, è più importante. Questo libro è il frutto di un'indagine durata quasi tre anni che l'ha portato negli allevamenti intensivi, visitati anche nel cuore della notte, che l'ha spinto a raccontare le violenze sugli animali e i venefici trattamenti a base di farmaci che devono subire, a descrivere come vengono uccisi per diventare il nostro cibo quotidiano. In un libro che è insieme racconto, inchiesta e testimonianza, Foer invita tutti alla riflessione, indicando nel dolore degli animali - e soprattutto nella nostra sensibilità verso chi è "inerme" e "senza voce" - il discrimine fra umano e inumano, fra chi accetta senza discutere le condizioni imposte dall'allevamento industriale e chi le mette in discussione.

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Giancarlo Zoccheddu

Siamo tutti in grado di elaborare pensieri, dovreste entrare nella mia testolina per vedere il marasma di cose che si scontrano tra di loro che si rincorrono che combattono. Capaci tutti. Altra cosa è elaborare per bene quei pensieri, sistemarli, farne un mazzolino curato e offrirlo. Gli scrittori fanno queste cose. Gli scrittori decenti lo fanno in modo ineccepibile. Foer lo fa in modo commovente. Il libro è pacato, rigoroso, sottile, profondo, duro, umano. Secondo me se uno è sensibile a certe cose (non dico tanto il contenuto quanto la forma) diventa una fontana. Gli scrittori decenti possono pure descrivere l'orrore, bravi. Foer però scrive questo: "Una gabbia per galline ovaiole concede in genere a ogni animale una superficie all'incirca di quattro decimetri quadrati: uno spazio grande poco meno di un foglio A4. Le gabbie sono accatastate in pile da tre a nove - il Giappone detiene il record d'altezza per le gabbie di batteria, con pile di diciotto gabbie - in capannoni privi di finestre. Entra mentalmente in un ascensore affollato, un ascensore così affollato che non riesci a girarti senza sbattere (esasperandolo) contro il tuo vicino. Un ascensore così affollato che spesso rimani sollevato a mezz'aria. Il che è una specie di benedizione, perché il pavimento inclinato è fatto di fil di ferro che ti sega i piedi. Dopo un po' quelli che stanno nell'ascensore perderanno la capacità di lavorare nell'interesse del gruppo. Alcuni diventeranno violenti, altri impazziranno. Qualcuno, privato di cibo e speranza, si volgerà al cannibalismo. Non c'è tregua, non c'è sollievo. Non arriverà nessun addetto a riparare l'ascensore. Le porte si apriranno una sola volta, al termine della tua vita, per portarti nell'unico posto peggiore" Lasciate che vi dica un'ultima cosa. Avevo un cane. E' morto l'anno scorso dopo 16 anni. E' stato così doloroso per me e la mia famiglia che ogni tanto lo sogniamo. Faceva delle cose che a volte penso di esagerare per affetto. E poi mi dico no, le faceva veramente. Ma questo non rende bene l'idea. Spesso ci guardava. Non è che ci guardava tanto per dire, ci guardava proprio. Ma neppure questo rende bene l'idea. E' stata l'unica creatura vivente (non posso dire delle piante ma non credo che esista un albero che mi adora per dire) che mi ha voluto bene ogni singola ora della sua vita. E, voglio dire, per uno come me è tutto oro colato. Ma neanche questo rende bene l'idea. L'altro giorno ho pensato a una cosa. Triste. Terribilmente triste. Ho pensato che fosse una delle cose più dolorose che mi sono venute in mente. Ho pensato che fosse così dolorosa a causa dell'amore per il mio cane. Noi in famiglia siamo in cinque. Quando noi non ci saremo più scomparirà anche il suo ricordo. Questo rende bene l'idea.

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Andrea

Non è una vera e propria recensione (ma secondo me è meglio): http://aubreymcfato.com/2013/09/02/la-questione-alimentare-o-del-mangiare-animali/

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Editore: Guanda

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 363

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8860881137

ISBN-13: 9788860881137

Data di pubblicazione: 2010

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Jonathan Safran Foer

Se niente importa

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Jonathan Safran Foer, da piccolo, trascorreva il sabato e la domenica con sua nonna. Quando arrivava, lei lo sollevava per aria stringendolo in un forte abbraccio, e lo stesso faceva quando andava via. Ma non era solo affetto, il suo: dietro c'era la preoccupazione costante di sapere che il nipote avesse mangiato a sufficienza. La preoccupazione di chi è quasi morto di fame durante la guerra, ma è stato capace di rifiutare della carne di maiale che l'avrebbe tenuto in vita, perché non era cibo kosher, perché "se niente importa, non c'è niente da salvare". Il cibo per lei non è solo cibo, è "terrore, dignità, gratitudine, vendetta, gioia, umiliazione, religione, storia e, ovviamente, amore". Una volta diventato padre, Foer ripensa a questo insegnamento e inizia a interrogarsi su cosa sia la carne, perché nutrire suo figlio non è come nutrire se stesso, è più importante. Questo libro è il frutto di un'indagine durata quasi tre anni che l'ha portato negli allevamenti intensivi, visitati anche nel cuore della notte, che l'ha spinto a raccontare le violenze sugli animali e i venefici trattamenti a base di farmaci che devono subire, a descrivere come vengono uccisi per diventare il nostro cibo quotidiano. In un libro che è insieme racconto, inchiesta e testimonianza, Foer invita tutti alla riflessione, indicando nel dolore degli animali - e soprattutto nella nostra sensibilità verso chi è "inerme" e "senza voce" - il discrimine fra umano e inumano, fra chi accetta senza discutere le condizioni imposte dall'allevamento industriale e chi le mette in discussione.

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Siamo tutti in grado di elaborare pensieri, dovreste entrare nella mia testolina per vedere il marasma di cose che si scontrano tra di loro che si rincorrono che combattono. Capaci tutti. Altra cosa è elaborare per bene quei pensieri, sistemarli, farne un mazzolino curato e offrirlo. Gli scrittori fanno queste cose. Gli scrittori decenti lo fanno in modo ineccepibile. Foer lo fa in modo commovente. Il libro è pacato, rigoroso, sottile, profondo, duro, umano. Secondo me se uno è sensibile a certe cose (non dico tanto il contenuto quanto la forma) diventa una fontana. Gli scrittori decenti possono pure descrivere l'orrore, bravi. Foer però scrive questo: "Una gabbia per galline ovaiole concede in genere a ogni animale una superficie all'incirca di quattro decimetri quadrati: uno spazio grande poco meno di un foglio A4. Le gabbie sono accatastate in pile da tre a nove - il Giappone detiene il record d'altezza per le gabbie di batteria, con pile di diciotto gabbie - in capannoni privi di finestre. Entra mentalmente in un ascensore affollato, un ascensore così affollato che non riesci a girarti senza sbattere (esasperandolo) contro il tuo vicino. Un ascensore così affollato che spesso rimani sollevato a mezz'aria. Il che è una specie di benedizione, perché il pavimento inclinato è fatto di fil di ferro che ti sega i piedi. Dopo un po' quelli che stanno nell'ascensore perderanno la capacità di lavorare nell'interesse del gruppo. Alcuni diventeranno violenti, altri impazziranno. Qualcuno, privato di cibo e speranza, si volgerà al cannibalismo. Non c'è tregua, non c'è sollievo. Non arriverà nessun addetto a riparare l'ascensore. Le porte si apriranno una sola volta, al termine della tua vita, per portarti nell'unico posto peggiore" Lasciate che vi dica un'ultima cosa. Avevo un cane. E' morto l'anno scorso dopo 16 anni. E' stato così doloroso per me e la mia famiglia che ogni tanto lo sogniamo. Faceva delle cose che a volte penso di esagerare per affetto. E poi mi dico no, le faceva veramente. Ma questo non rende bene l'idea. Spesso ci guardava. Non è che ci guardava tanto per dire, ci guardava proprio. Ma neppure questo rende bene l'idea. E' stata l'unica creatura vivente (non posso dire delle piante ma non credo che esista un albero che mi adora per dire) che mi ha voluto bene ogni singola ora della sua vita. E, voglio dire, per uno come me è tutto oro colato. Ma neanche questo rende bene l'idea. L'altro giorno ho pensato a una cosa. Triste. Terribilmente triste. Ho pensato che fosse una delle cose più dolorose che mi sono venute in mente. Ho pensato che fosse così dolorosa a causa dell'amore per il mio cane. Noi in famiglia siamo in cinque. Quando noi non ci saremo più scomparirà anche il suo ricordo. Questo rende bene l'idea.

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