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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Elias Canetti

Il gioco degli occhi

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Recensioni (0)
Inserito il 10-12-2020 da
Disponibile in 0 librerie
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All’inizio di questo libro, il terzo della sua autobiografia, Canetti ci appare circondato dai relitti fumanti del rogo in cui sono stati distrutti i libri di Kien, il protagonista di "Auto da fé". Attorno a sé, vede il deserto e un’incombente rovina. Poi, a poco a poco, la scena ricomincia a popolarsi, e le figure che vi si mostrano sono memorabili. Innanzitutto Hermann Broch, che ci viene incontro come «un uccello, grande e bellissimo, ma con le ali mozze». Poi Hermann Scherchen, l’infaticabile direttore d’orchestra «sempre alla ricerca del nuovo». Poi Anna Mahler, figlia del compositore, con la quale Canetti intreccia un complesso rapporto amoroso. Poi lo scultore Fritz Wotruba, irruento e selvaggio, come «una pantera nera che si nutrisse di pietra». Infine Musil, «sempre in armi, pronto alla difesa e all’attacco», nel suo totale isolamento; e Alban Berg, che si espone al mondo nella sua totale gentilezza d’animo, mentre un lieve cenno di ironia gli sfiora la bocca. E, ogni volta, in questi ritratti in movimento, avvertiamo lo straordinario dono fisiognomico di Canetti. Un gesto, un modo di respirare, un accento, una reticenza, tutto diventa cifra di una figura, emblema di un qualcosa di unico, che però svela un tratto della natura di cui siamo fatti. Dietro a quel dono riconosciamo una fonte inesauribile dello scrittore Canetti: la sua «passione per le persone». A mano a mano che si delineano i profili delle figure, risalta anche, come una presenza palpabile, lo sfondo: Vienna. Di questa città, vista nei suoi ultimi anni di grandezza, nessuno ha saputo tracciare un ritratto altrettanto preciso e affascinante. Come la Vienna dell’"Uomo senza qualità", sull’orlo della prima guerra mondiale, questa di Canetti, negli anni che precedono l’annessione nazista, è un sistema di orbite planetarie, dove conducono esistenze parallele alcune forme pure ed estreme del vero e del falso. Per Canetti, il vero erano sei o sette persone che «seguivano una propria strada e non se ne lasciavano distogliere da nessuno». Il falso era un fitto «gracidio di rane», che proveniva da un mondo culturale pieno di vanità e di sapienza mondana, prodigiosamente abile nel giocare le sue carte e insieme inconsistente nel suo ultimo fondo. In questi anni, Canetti attraversa tutte queste orbite incompatibili e qui le descrive con la trascinante immediatezza del romanziere. Ma il vero centro di questo sistema, il suo Sole, è una singola persona, il dottor Sonne, che vuole dire appunto «sole». Osservato per lungo tempo ai tavoli del Café Museum, poi conosciuto e ammirato, quest’uomo che «parlava come Musil scriveva» diventa a poco a poco il centro di gravità nella vita di Canetti, un’ombra benefica, un «invisibile» Sarastro. A differenza dei tanti che si gonfiano e che si agitano, Sonne non ha, apparentemente, un’opera a cui dedicarsi e non si lascia prendere dall’eccitazione. Parla di tutto fuorché di sé, e ogni volta la sua parola illumina quella singola cosa che cade sotto il suo sguardo. In una città sonnambolica e straparlante, è colui che veglia, come la luce discreta e solitaria dietro una finestra, di notte. Col personaggio di Sonne, Canetti ha svelato uno dei suoi segreti e costruito una grande figura romanzesca. Ma non soltanto questo: ha trovato l’occulto punto di equilibrio da cui osservare i rotanti astri viennesi, che solo da quel punto diventano pienamente percepibili. "Il gioco degli occhi" è apparso per la prima volta nel 1985.

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Editore: Adelphi Edizioni spa

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 383

Formato: BOOK

ISBN-10: 8845979644

ISBN-13: 9788845979644

Data di pubblicazione: 2018

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Elias Canetti

Il gioco degli occhi

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All’inizio di questo libro, il terzo della sua autobiografia, Canetti ci appare circondato dai relitti fumanti del rogo in cui sono stati distrutti i libri di Kien, il protagonista di "Auto da fé". Attorno a sé, vede il deserto e un’incombente rovina. Poi, a poco a poco, la scena ricomincia a popolarsi, e le figure che vi si mostrano sono memorabili. Innanzitutto Hermann Broch, che ci viene incontro come «un uccello, grande e bellissimo, ma con le ali mozze». Poi Hermann Scherchen, l’infaticabile direttore d’orchestra «sempre alla ricerca del nuovo». Poi Anna Mahler, figlia del compositore, con la quale Canetti intreccia un complesso rapporto amoroso. Poi lo scultore Fritz Wotruba, irruento e selvaggio, come «una pantera nera che si nutrisse di pietra». Infine Musil, «sempre in armi, pronto alla difesa e all’attacco», nel suo totale isolamento; e Alban Berg, che si espone al mondo nella sua totale gentilezza d’animo, mentre un lieve cenno di ironia gli sfiora la bocca. E, ogni volta, in questi ritratti in movimento, avvertiamo lo straordinario dono fisiognomico di Canetti. Un gesto, un modo di respirare, un accento, una reticenza, tutto diventa cifra di una figura, emblema di un qualcosa di unico, che però svela un tratto della natura di cui siamo fatti. Dietro a quel dono riconosciamo una fonte inesauribile dello scrittore Canetti: la sua «passione per le persone». A mano a mano che si delineano i profili delle figure, risalta anche, come una presenza palpabile, lo sfondo: Vienna. Di questa città, vista nei suoi ultimi anni di grandezza, nessuno ha saputo tracciare un ritratto altrettanto preciso e affascinante. Come la Vienna dell’"Uomo senza qualità", sull’orlo della prima guerra mondiale, questa di Canetti, negli anni che precedono l’annessione nazista, è un sistema di orbite planetarie, dove conducono esistenze parallele alcune forme pure ed estreme del vero e del falso. Per Canetti, il vero erano sei o sette persone che «seguivano una propria strada e non se ne lasciavano distogliere da nessuno». Il falso era un fitto «gracidio di rane», che proveniva da un mondo culturale pieno di vanità e di sapienza mondana, prodigiosamente abile nel giocare le sue carte e insieme inconsistente nel suo ultimo fondo. In questi anni, Canetti attraversa tutte queste orbite incompatibili e qui le descrive con la trascinante immediatezza del romanziere. Ma il vero centro di questo sistema, il suo Sole, è una singola persona, il dottor Sonne, che vuole dire appunto «sole». Osservato per lungo tempo ai tavoli del Café Museum, poi conosciuto e ammirato, quest’uomo che «parlava come Musil scriveva» diventa a poco a poco il centro di gravità nella vita di Canetti, un’ombra benefica, un «invisibile» Sarastro. A differenza dei tanti che si gonfiano e che si agitano, Sonne non ha, apparentemente, un’opera a cui dedicarsi e non si lascia prendere dall’eccitazione. Parla di tutto fuorché di sé, e ogni volta la sua parola illumina quella singola cosa che cade sotto il suo sguardo. In una città sonnambolica e straparlante, è colui che veglia, come la luce discreta e solitaria dietro una finestra, di notte. Col personaggio di Sonne, Canetti ha svelato uno dei suoi segreti e costruito una grande figura romanzesca. Ma non soltanto questo: ha trovato l’occulto punto di equilibrio da cui osservare i rotanti astri viennesi, che solo da quel punto diventano pienamente percepibili. "Il gioco degli occhi" è apparso per la prima volta nel 1985.

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