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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


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Amélie Nothomb

Stupore e tremori

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (1)
Inserito il 12-11-2014 da Marina
Aggiornato il 12-11-2014 da Marina
Disponibile in 9 librerie
Inserito il 12-11-2014 da Marina
Aggiornato il 12-11-2014 da Marina
Disponibile in 9 librerie

È il racconto corrosivo e surreale di un anno di lavoro in una grande multinazionale giapponese, la Yumimoto: la giovane neoassunta Amélie, felice di aver realizzato il sogno di lavorare nel paese in cui è nata, si trova alle prese con la ferocia degli automatismi della burocrazia aziendale nipponica, dapprima incerta di fronte agli insensati soprusi dei superiori, poi sempre più disincantata, quasi irridente nel proseguire la sua impresa, che si rivela una catartica discesa agli inferi dell'umiliazione, un'esperienza di degrado assoluto vissuta con il sorriso beffardo di chi non riesce a sentire offesa la propria dignità. E tra tutti gli spettatori della sua incredibile parabola, spicca la figura flessuosa e bellissima di Fubuki...

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ElisaL

Non mi restava altro che incollare la fronte al vetro e gettarmi dalla finestra. Sono la sola persona al mondo alla quale sia capitato un simile miracolo: è la defenestrazione che mi ha cambiato la vita. Brandelli del mio corpo devono essere ancora oggi sparsi per tutta la città. Finché esisteranno finestre, l'essere umano più umile della terra avrà la sua libertà. Balzac descriveva la pensione Vauquer come una piccola rappresentazione dell'intera società parigina. Amélie Nothomb cambia i termini dell'operazione, ma il risultato è analogo. L'intreccio si concentra sull'anno passato dalla Nothomb in Giappone come impiegata della Yumimoto, una multinazionale giapponese. Il mondo esterno viene spinto fuori dalla cornice. Le 128 pagine ci tengono imprigionati tra gli uffici e la gerarchia del mondo aziendale. In realtà, Amélie ci mostra la società giapponese degli anni '90 attraverso i suoi lavoratori. Ne smonta il funzionamento e dispone gli ingranaggi sul suo tavolo, li ricompone, diventa lei stessa una rotella. Tic, tac: sulla carta il Giappone potrà vedere la sua smorfia, più che il sorriso. Quando si pensa al Giappone, appare davanti ai nostri occhi la tecnologia. Poi arrivano i manga, le studentesse con la divisa, gli alberi di ciliegio in fiore. Un brainstorming che spesso include anche l'ordine e la precisione tipici dell'Impero del Sol Levante. Un ordine che ha le sue ombre, o per lo meno le aveva fino agli inizi degli anni '90. La donna è regolata come un pacco esplosivo: fino ai 18 anni studia, dai 18 ai 25 ha un margine di libertà in cui può immolarsi sull'altare della produttività. Se sfiora la soglia dei 25 senza uno straccio di marito, perde la faccia. Rimane imprigionata dentro il suo stesso meccanismo, per la dedizione al lavoro perde la possibilità di sposarsi, e da quel momento non c'è amore che tenga: deve afferrare il primo scapolo che le sguscia vicino, ignaro. La donna giapponese è rappresentata perfettamente dalla signorina Mori. Il suo nome, Fubuki, significa "tempesta di neve" e non poteva esser posto in modo più calzante: ha la bellezza della tempesta, ma anche la forza distruttrice del ghiaccio e del vento che ti sferzano il viso. Fubuki è una nuvola di rabbia e odio represso, svuotata dai propri sogni da una società spolpatrice. E non è la sola: quasi tutti, alla Yumimoto, sono trascinati volenti o nolenti in quella che si può chiaramente chiamare una lotta per la sopravvivenza: il superiore comanda l'inferiore, sempre, anche per sfogare rabbia e frustrazione. La Nothomb sa benissimo che il lettore la invita a fuggire da quella gabbia di matti il prima possibile, ma non rinuncia al suo tentativo di integrazione. E' nata in Giappone, si è sempre cullata nel dolce ricordo della sua terra, ha imparato alla perfezione la lingua, vuole riabbracciare le sue origini. Ma la società è cambiata. Paradossalmente l'occidente viene disprezzato. I "bianchi" sono quelli che sudano, che hanno sogni, che appena hanno una finestra ci si incollano con il muso per mimare un salto liberatorio sulla città. I giapponesi, al massimo, possono saltare davvero, suicidarsi per mantenere l'onore intatto tra le mani di chi resta. E se rimangono, devono rassegnarsi a perpetuare anche nei contesti quotidiani il sistema reverenziale ereditato dall'impero: l'imperatore si guarda con "stupore e tremore", solo così si può essere certi di sopravvivere alla mattanza. Lo stile della Nothomb mi piace. Ho amato i suoi ritratti degli impiegati, la sua ironia brillante anche nei momenti più tetri. Non mi ha rapito come avrei pensato, ma promette bene: voglio leggerla ancora. Spero che il Giappone negli ultimi vent'anni si sia scrollato di dosso questa disumanità produttiva.

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Editore: Guanda

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 118

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8882468976

ISBN-13: 9788882468972

Data di pubblicazione: 2006

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Amélie Nothomb

Stupore e tremori

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È il racconto corrosivo e surreale di un anno di lavoro in una grande multinazionale giapponese, la Yumimoto: la giovane neoassunta Amélie, felice di aver realizzato il sogno di lavorare nel paese in cui è nata, si trova alle prese con la ferocia degli automatismi della burocrazia aziendale nipponica, dapprima incerta di fronte agli insensati soprusi dei superiori, poi sempre più disincantata, quasi irridente nel proseguire la sua impresa, che si rivela una catartica discesa agli inferi dell'umiliazione, un'esperienza di degrado assoluto vissuta con il sorriso beffardo di chi non riesce a sentire offesa la propria dignità. E tra tutti gli spettatori della sua incredibile parabola, spicca la figura flessuosa e bellissima di Fubuki...

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Non mi restava altro che incollare la fronte al vetro e gettarmi dalla finestra. Sono la sola persona al mondo alla quale sia capitato un simile miracolo: è la defenestrazione che mi ha cambiato la vita. Brandelli del mio corpo devono essere ancora oggi sparsi per tutta la città. Finché esisteranno finestre, l'essere umano più umile della terra avrà la sua libertà. Balzac descriveva la pensione Vauquer come una piccola rappresentazione dell'intera società parigina. Amélie Nothomb cambia i termini dell'operazione, ma il risultato è analogo. L'intreccio si concentra sull'anno passato dalla Nothomb in Giappone come impiegata della Yumimoto, una multinazionale giapponese. Il mondo esterno viene spinto fuori dalla cornice. Le 128 pagine ci tengono imprigionati tra gli uffici e la gerarchia del mondo aziendale. In realtà, Amélie ci mostra la società giapponese degli anni '90 attraverso i suoi lavoratori. Ne smonta il funzionamento e dispone gli ingranaggi sul suo tavolo, li ricompone, diventa lei stessa una rotella. Tic, tac: sulla carta il Giappone potrà vedere la sua smorfia, più che il sorriso. Quando si pensa al Giappone, appare davanti ai nostri occhi la tecnologia. Poi arrivano i manga, le studentesse con la divisa, gli alberi di ciliegio in fiore. Un brainstorming che spesso include anche l'ordine e la precisione tipici dell'Impero del Sol Levante. Un ordine che ha le sue ombre, o per lo meno le aveva fino agli inizi degli anni '90. La donna è regolata come un pacco esplosivo: fino ai 18 anni studia, dai 18 ai 25 ha un margine di libertà in cui può immolarsi sull'altare della produttività. Se sfiora la soglia dei 25 senza uno straccio di marito, perde la faccia. Rimane imprigionata dentro il suo stesso meccanismo, per la dedizione al lavoro perde la possibilità di sposarsi, e da quel momento non c'è amore che tenga: deve afferrare il primo scapolo che le sguscia vicino, ignaro. La donna giapponese è rappresentata perfettamente dalla signorina Mori. Il suo nome, Fubuki, significa "tempesta di neve" e non poteva esser posto in modo più calzante: ha la bellezza della tempesta, ma anche la forza distruttrice del ghiaccio e del vento che ti sferzano il viso. Fubuki è una nuvola di rabbia e odio represso, svuotata dai propri sogni da una società spolpatrice. E non è la sola: quasi tutti, alla Yumimoto, sono trascinati volenti o nolenti in quella che si può chiaramente chiamare una lotta per la sopravvivenza: il superiore comanda l'inferiore, sempre, anche per sfogare rabbia e frustrazione. La Nothomb sa benissimo che il lettore la invita a fuggire da quella gabbia di matti il prima possibile, ma non rinuncia al suo tentativo di integrazione. E' nata in Giappone, si è sempre cullata nel dolce ricordo della sua terra, ha imparato alla perfezione la lingua, vuole riabbracciare le sue origini. Ma la società è cambiata. Paradossalmente l'occidente viene disprezzato. I "bianchi" sono quelli che sudano, che hanno sogni, che appena hanno una finestra ci si incollano con il muso per mimare un salto liberatorio sulla città. I giapponesi, al massimo, possono saltare davvero, suicidarsi per mantenere l'onore intatto tra le mani di chi resta. E se rimangono, devono rassegnarsi a perpetuare anche nei contesti quotidiani il sistema reverenziale ereditato dall'impero: l'imperatore si guarda con "stupore e tremore", solo così si può essere certi di sopravvivere alla mattanza. Lo stile della Nothomb mi piace. Ho amato i suoi ritratti degli impiegati, la sua ironia brillante anche nei momenti più tetri. Non mi ha rapito come avrei pensato, ma promette bene: voglio leggerla ancora. Spero che il Giappone negli ultimi vent'anni si sia scrollato di dosso questa disumanità produttiva.

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