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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Paul Murray

Skippy muore

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (2)
Inserito il 28-09-2017 da Luisa
Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
Disponibile in 3 librerie
Inserito il 28-09-2017 da Luisa
Aggiornato il 28-09-2017 da Luisa
Disponibile in 3 librerie

Ruprecht Van Doren is an overweight genius whose hobbies include very difficult maths and the Search for Extra-Terrestrial Intelligence. Daniel 'Skippy' Juster is his roommate. In the grand old Dublin institution that is Seabrook College for Boys, nobody pays either of them much attention. But when Skippy falls for Lori, the Frisbee-playing Siren from the girls' school next door, suddenly all kinds of people take an interest – including Carl, part-time drug-dealer and official school psychopath.

While his teachers battle over modernisation, and Ruprecht attempts to open a portal into a parallel universe, Skippy, in the name of love, is heading for a showdown – in the form of a fatal doughnut-eating race that only one person will survive. This unlikely tragedy will explode Seabrook's century-old complacency and bring all kinds of secrets into the light, until teachers and pupils alike discover that the fragile lines dividing past from present, love from betrayal – and even life from death – have become almost impossible to read . . .

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Recensioni

Giancarlo Zoccheddu

Che poi è il classico voto scemo che non si da mai ad un libro del genere. Come quando ti dicono che un romanzo o ti entusiasma o lo usi per mettere in pari i tavoli. E invece io gli do un voto tiepido. per un paio di motivi. 1)E' troppo lungo. Nel senso che alcuni brani sono ottimi (fine psicologia) altri inutili (riferimenti ai videogiochi e non mi si dica che sono necessari alla storia, beh, non sono necessari alla storia)altri caricatissimi (questa non ho voglia di spiegarla) 2)Io decisamente non mi sono appassionato alle vicende di questi ragazzetti. Agli amori, ai dolori, alle gioie, alle morti eccetera. E questo è un giudizio personale ma ci sarà pure qualcuno simile a me nel mondo? o no? nel caso allora vale anche per loro 3) è VERAMENTE troppo lungo. In alcuni momenti sembra di essere da solo nella sala d'aspetto di un medico con a disposizione solo riviste di gossip dell'anno prima o di attualità del mese prima. E, costretto in quella condizione, inizi a fissare il muro e a mandare in giostra i tuoi pensieri nel cervello. Poi magari entra qualcuno e ti risvegli. Ecco una roba così ogni tanto ti risvegli 4)L'oggetto libro però è ottimo. Questa nuova collana ISBN è meravigliosa al tatto. Piccoli mattoncini graziosi 5)Non è il giovane Holden. Per carità. I lanci entusiastici che mettono nelle fascette sono criminali. Il Giovane Holden non contiene un parola in più di quelle necessarie. Questo libro ne contiene così tante in più che ci si potrebbe fare un altro romanzo sano sano. 6) Il finale, dio ne scampi. Alla faccia del climax. Alla faccia di fare un finale ad effetto. Alla faccia della catarsi. 7) In 800 pagine mi pare di non aver individuato simbolismi. Bene. Questo è quanto

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Noce Moscata

 

Skippy muore, la letteratura no.

 

Quando Skippy è morto, io ero ancora in libreria. Perché Skippy, per chi come me ha l’edizione Isbn, muore già in copertina. C’è scritto tutto. Dove, come, quando è successo, e c’è anche una sua foto. Quasi un necrologio da vetrina.

 

Mi è stato inevitabile ripensare alle Vergini suicide di Eugenides, a quell’uso competente dell’ossimoro letterario, per cui ti ritrovi a leggere una storia partendo dalla fine cronologica di tutto. Ma qualcosa non tornava già dal titolo. Quell’indicativo presente,  così sintetico, così glaciale, Skippy muore, quel tono da radiocronaca che toglie la sacralità tipica dell’evento luttuoso già accaduto, già passato, e quindi già maturo nel dolore, ti catapulta nel succedere dell’azione, nell’istante in cui la morte si presenta. E non è una cosa bella. A me, ad esempio, è venuto quasi da ridere. Perché il punto è questo. Skippy muore. E muore davanti a te. Circondato da ciambelle, in un locale anonimo come può esserlo un locale per adolescenti, nell’indifferenza generale. Muore solo, nonostante il locale sia mezzo pieno. Ci vogliono minuti interi perché il suo amico si accorga di cosa succede, gli stessi minuti che servono a te, per renderti conto dell’atmosfera sterile ed ospedaliera che circonda l’entrata in scena di Skippy. Meno di 8 pagine per accorgerti che la sua morte è quasi ridicola. Non c’è niente di quel dramma, di quel mistero che avvolgeva il gesto estremo delle sorelle Lisbon e che ti spingeva a voler sapere cosa le aveva portate fino  quel punto. Skippy è avvolto dall’imbarazzo di quel presente indicativo, che non ti dà tempo di metabolizzare l’accaduto e ti manda avanti per forza d’inerzia. È questo lo spirito con cui ti avventuri nel passato prossimo di Skippy, ci si infila nelle pieghe della sua vita quasi con il distacco di chi è certo di essere estraneo agli avvenimenti. Ma Skippy non è una persona qualunque, Skippy sei tu, è la tua adolescenza che si affaccia con la stesso tono tragicomico del ragazzino visto con gli occhi di un adulto, sono tue le motivazioni che ti portano a quel fatidico giorno in cui acconsenti a fare una gara a chi mangia più ciambelle. E così manco te ne accorgi che la seconda volta che Skippy muore, che è sempre al presente, ma adesso che è saturo di ragioni (anche)tue, è un presente partecipato, sei affranto e allo stesso tempo frustrato e irato per la fine che quasi ti sentivi in potere di evitare. E ti chiedi cosa ci possa ancora essere nelle ultime 200 pagine, quale peso e di che tipo, si possa ancora aggiungere alla durezza cristallina della storia. E inizia così il veloce accavallarsi di mille fini, gli esiti di tutte le vite che Skippy ha toccato, o semplicemente sfiorato. E nonostante sia un’atmosfera di pesante disincanto, di illusioni infrante, di sogni smontati  con perizia, è quasi confortante sapere che Skippy in fondo era meno solo di quello che pensava. C’è un che di consolatorio nell’accorgersi che nel campo visivo delle vite altrui, Skippy era rimasto impresso nonostante fosse ai margini di qualunque scena.

 

È un infinito piacere constatare come in un mondo in cui avanza prepotente la moda esplorativa della scrittura collettiva, un solo autore riesca con sole due mani e una tastiera, a portare avanti un tale consorzio di gesti e sentimenti. E se è vero che Skippy muore, così non si può dire per la letteratura. E speriamo di poter dire la stessa cosa anche per il cinema, quando uscirà l’adattamento in pellicola firmato da Neil Jordan. Nel frattempo, al vostro posto, io correrei ai ripari, perdendomi nella cascata di parole che Murray ha saputo perfettamente dosare. È una fragorosa e potente discesa, ma è comunque uno spettacolo.

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Editore: Isbn Edizioni

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 816

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-13: 9788876381713

Data di pubblicazione: 2010

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Paul Murray

Skippy muore

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Ruprecht Van Doren is an overweight genius whose hobbies include very difficult maths and the Search for Extra-Terrestrial Intelligence. Daniel 'Skippy' Juster is his roommate. In the grand old Dublin institution that is Seabrook College for Boys, nobody pays either of them much attention. But when Skippy falls for Lori, the Frisbee-playing Siren from the girls' school next door, suddenly all kinds of people take an interest – including Carl, part-time drug-dealer and official school psychopath.

While his teachers battle over modernisation, and Ruprecht attempts to open a portal into a parallel universe, Skippy, in the name of love, is heading for a showdown – in the form of a fatal doughnut-eating race that only one person will survive. This unlikely tragedy will explode Seabrook's century-old complacency and bring all kinds of secrets into the light, until teachers and pupils alike discover that the fragile lines dividing past from present, love from betrayal – and even life from death – have become almost impossible to read . . .

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Che poi è il classico voto scemo che non si da mai ad un libro del genere. Come quando ti dicono che un romanzo o ti entusiasma o lo usi per mettere in pari i tavoli. E invece io gli do un voto tiepido. per un paio di motivi. 1)E' troppo lungo. Nel senso che alcuni brani sono ottimi (fine psicologia) altri inutili (riferimenti ai videogiochi e non mi si dica che sono necessari alla storia, beh, non sono necessari alla storia)altri caricatissimi (questa non ho voglia di spiegarla) 2)Io decisamente non mi sono appassionato alle vicende di questi ragazzetti. Agli amori, ai dolori, alle gioie, alle morti eccetera. E questo è un giudizio personale ma ci sarà pure qualcuno simile a me nel mondo? o no? nel caso allora vale anche per loro 3) è VERAMENTE troppo lungo. In alcuni momenti sembra di essere da solo nella sala d'aspetto di un medico con a disposizione solo riviste di gossip dell'anno prima o di attualità del mese prima. E, costretto in quella condizione, inizi a fissare il muro e a mandare in giostra i tuoi pensieri nel cervello. Poi magari entra qualcuno e ti risvegli. Ecco una roba così ogni tanto ti risvegli 4)L'oggetto libro però è ottimo. Questa nuova collana ISBN è meravigliosa al tatto. Piccoli mattoncini graziosi 5)Non è il giovane Holden. Per carità. I lanci entusiastici che mettono nelle fascette sono criminali. Il Giovane Holden non contiene un parola in più di quelle necessarie. Questo libro ne contiene così tante in più che ci si potrebbe fare un altro romanzo sano sano. 6) Il finale, dio ne scampi. Alla faccia del climax. Alla faccia di fare un finale ad effetto. Alla faccia della catarsi. 7) In 800 pagine mi pare di non aver individuato simbolismi. Bene. Questo è quanto

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Skippy muore, la letteratura no.

 

Quando Skippy è morto, io ero ancora in libreria. Perché Skippy, per chi come me ha l’edizione Isbn, muore già in copertina. C’è scritto tutto. Dove, come, quando è successo, e c’è anche una sua foto. Quasi un necrologio da vetrina.

 

Mi è stato inevitabile ripensare alle Vergini suicide di Eugenides, a quell’uso competente dell’ossimoro letterario, per cui ti ritrovi a leggere una storia partendo dalla fine cronologica di tutto. Ma qualcosa non tornava già dal titolo. Quell’indicativo presente,  così sintetico, così glaciale, Skippy muore, quel tono da radiocronaca che toglie la sacralità tipica dell’evento luttuoso già accaduto, già passato, e quindi già maturo nel dolore, ti catapulta nel succedere dell’azione, nell’istante in cui la morte si presenta. E non è una cosa bella. A me, ad esempio, è venuto quasi da ridere. Perché il punto è questo. Skippy muore. E muore davanti a te. Circondato da ciambelle, in un locale anonimo come può esserlo un locale per adolescenti, nell’indifferenza generale. Muore solo, nonostante il locale sia mezzo pieno. Ci vogliono minuti interi perché il suo amico si accorga di cosa succede, gli stessi minuti che servono a te, per renderti conto dell’atmosfera sterile ed ospedaliera che circonda l’entrata in scena di Skippy. Meno di 8 pagine per accorgerti che la sua morte è quasi ridicola. Non c’è niente di quel dramma, di quel mistero che avvolgeva il gesto estremo delle sorelle Lisbon e che ti spingeva a voler sapere cosa le aveva portate fino  quel punto. Skippy è avvolto dall’imbarazzo di quel presente indicativo, che non ti dà tempo di metabolizzare l’accaduto e ti manda avanti per forza d’inerzia. È questo lo spirito con cui ti avventuri nel passato prossimo di Skippy, ci si infila nelle pieghe della sua vita quasi con il distacco di chi è certo di essere estraneo agli avvenimenti. Ma Skippy non è una persona qualunque, Skippy sei tu, è la tua adolescenza che si affaccia con la stesso tono tragicomico del ragazzino visto con gli occhi di un adulto, sono tue le motivazioni che ti portano a quel fatidico giorno in cui acconsenti a fare una gara a chi mangia più ciambelle. E così manco te ne accorgi che la seconda volta che Skippy muore, che è sempre al presente, ma adesso che è saturo di ragioni (anche)tue, è un presente partecipato, sei affranto e allo stesso tempo frustrato e irato per la fine che quasi ti sentivi in potere di evitare. E ti chiedi cosa ci possa ancora essere nelle ultime 200 pagine, quale peso e di che tipo, si possa ancora aggiungere alla durezza cristallina della storia. E inizia così il veloce accavallarsi di mille fini, gli esiti di tutte le vite che Skippy ha toccato, o semplicemente sfiorato. E nonostante sia un’atmosfera di pesante disincanto, di illusioni infrante, di sogni smontati  con perizia, è quasi confortante sapere che Skippy in fondo era meno solo di quello che pensava. C’è un che di consolatorio nell’accorgersi che nel campo visivo delle vite altrui, Skippy era rimasto impresso nonostante fosse ai margini di qualunque scena.

 

È un infinito piacere constatare come in un mondo in cui avanza prepotente la moda esplorativa della scrittura collettiva, un solo autore riesca con sole due mani e una tastiera, a portare avanti un tale consorzio di gesti e sentimenti. E se è vero che Skippy muore, così non si può dire per la letteratura. E speriamo di poter dire la stessa cosa anche per il cinema, quando uscirà l’adattamento in pellicola firmato da Neil Jordan. Nel frattempo, al vostro posto, io correrei ai ripari, perdendomi nella cascata di parole che Murray ha saputo perfettamente dosare. È una fragorosa e potente discesa, ma è comunque uno spettacolo.

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