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E intanto, mentre non c'eri...

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 28-08-2024
I nomi epiceni
Amélie Nothomb

"Non gli passa. È difficile che la collera passi. Esiste il verbo incollerirsi, far montare dentro di sé la collera, ma non il suo contrario. P [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-04-2024
La zona d'interesse
Martin Amis

"pensavo, come ha potuto «un sonnolento paese di poeti e sognatori», e la più colta e raffinata nazione che il mondo avesse mai visto, come ha [...]

Michela L.


Huckelberry Finn
Oltre un mese fa, 05-02-2024
Il libro delle sorelle
Amélie Nothomb

"Tu che adori la letteratura non hai voglia di scrivere? - Adoro anche il vino, ma non per questo ho voglia di coltivare la vigna."

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Cormac McCarthy

La strada

Voto medio della comunità Lìberos
Recensioni (3)
Inserito il 11-06-2015 da Maria Carla Botta
Aggiornato il 11-06-2015 da Maria Carla Botta
Disponibile in 14 librerie
Inserito il 11-06-2015 da Maria Carla Botta
Aggiornato il 11-06-2015 da Maria Carla Botta
Disponibile in 14 librerie

Un uomo e un bambino viaggiano attraverso le rovine di un mondo ridotto a cenere in direzione dell'oceano, dove forse i raggi raffreddati di un sole ormai livido cederanno un po' di tepore e qualche barlume di vita. Trascinano con sé sulla strada tutto ciò che nel nuovo equilibrio delle cose ha ancora valore: un carrello del supermercato con quel po' di cibo che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia gelida e una pistola con cui difendersi dalle bande di predoni che battono le strade decisi a sopravvivere a ogni costo. E poi il bene più prezioso: se stessi e il loro reciproco amore.

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Recensioni

LukeCiro

Il mondo è quel che rimane dalla catastrofe. Strade disseminate di detriti, mulinelli lenti di cenere si alzano qua e là. Città scheletriche e depredate, campagne arse; le foreste non son altro che brulle distese di mozziconi neri che si ergono come lapidi di un cimitero esteso. Il cielo è plumbeo, non vedrai mai il sole e non distinguerai le ombre, la luce del giorno è un bagliore caliginoso. Le notti sono fredde e tenebrose, se facessi pochi passi non saresti mai sicuro di ritornare al punto di partenza. Sempre il silenzio, rotto talvolta da tuoni lontani o dal ticchettio di piogge malsane. In questa Geenna post-apocalittica pochi si contendono, in una disputa barbara, le poche risorse disponibili. Imbattersi in altri uomini è un potenziale pericolo, se possiedi un’arma puoi sperare. Ovunque saccheggi ed omicidi, potresti essere seguito. Le finestre sono occhi che guardano famelici, stai in guardia. Tu, uomo solo, e tuo figlio. Come trovare le parole per giustificare tutto questo, come soddisfare la curiosità puerile di un’anima pura e poi non allontanarsi la notte a pochi metri dal fuoco del bivacco per arrendersi ad un pianto disperato. Non farti sentire. I resti di una biblioteca incendiata. Scaffali ribaltati e libri bruciacchiati. “Un moto di rabbia di fronte a quelle migliaia di menzogne allineate rigo su rigo.” “Non avrebbe mai immaginato quanto valore potesse avere anche la più piccola osservazione sul mondo a venire.”

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Vito Calabrese

Qui si sta stupefatti, si affronta la fase successiva di un avvenimento catastrofico che ha quasi distrutto la terra ed i suoi abitanti. Tante volte a distanza di mesi dalla lettura capita di pensare a questo romanzo “profetico”, ad aspetti della nostra vita contemporanea, dove il presente è totalmente scisso dal passato. E come nel romanzo ti chiedi: “Cosa è avvenuto, come è potuto accadere questo?” Si procede nel libro con tutta l’angoscia possibile, senza sapere il percorso, come il padre e il bambino. Quello che sappiamo è che non è un bel vedere, che siamo stremati, che vorremmo dire basta, che non riusciamo a fare lunghi discorsi. Quelle poche parole però sono essenziali ed nascono dal volersi bene assai. Il romanzo continua a tormentarti anche dopo i titoli di coda.

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Andrea

"Quello che sta arrivando non si può fermare."

"Io ero a cavallo, e attraversavo le montagne di notte. Attraversavo un passo, in mezzo alle montagne. Faceva freddo, e a terra c'era la neve... Lui mi superava con il suo cavallo e andava avanti, continuava a cavalcare senza dire una parola. Lui... era avvolto in una coperta, e teneva la testa bassa. Mi ha sorpassato e io mi sono accorto che teneva una fiaccola, ricavata da un corno, come usava ai vecchi tempi, e il corno e la luce della fiamma che c'era dentro era come la luce della Luna... E nel sogno sapevo, che stava andando avanti, per accendere un fuoco da qualche parte, in mezzo a tutto quel buio e quel freddo... E che quando ci sarei arrivato l'avrei trovato lì."
Sceriffo Bell, Non è un paese per vecchi

Mi piace pensare che La strada sia semplicemente il momento in cui tutto quello che doveva arrivare è già arrivato.
E che la fiaccola sia il fuoco che dobbiamo portare.

La prosa di McCarthy è un deserto desolato, un esodo di frasi brevi e secche, che ripetono pedanti una vita di gesti stupidi e fondamentali. Un punto dietro l'altro, conosciamo ogni gesto di ogni mattina, il modo in cui si aprono le scatole di latta, come si piegano i teli polverosi dopo colazione, come si prepara il carrello per una altro giorno di niente, come si aggrotta un ciglio al cielo e si bestemmia per pregare.
Un luogo di parole senza vita, (e cenere e buio e polvere, che ad un certo punto ti manca la salivazione), una terra desolata di piccole luci e miserabili ferocie.
Il linguaggio della post-apocalissi è dunque pura paratassi, ripetizione incessante e inesorabile di azioni, abolizione della forma dialogo, minuti squarci nel silenzio per non disturbare troppo il bianco della pagina.
Niente virgolette, niente capitoli, ma un ansare dello stesso respiro, per rendere giustizia al dolore.

Su questo deserto di freddo, McCarthy ricostruisce l'umanità dall'interno, e sullo sfondo del niente ogni umanità ed ogni barbarie sono raddoppiate, decuplicate. La scena del bunker è commovente. Quella della cantina terrificante. Alla nebbia di fatica viene comunque contrapposto sempre un grumo di poesia, a chiudere ogni paragrafo. Che sia bestemmia o preghiera, od entrambe le cose. McCarthy non cede, per nostra fortuna, alla tentazione di non dare speranza. Ce l'infila a fatica, la mescola nel fango, ma non rinuncia a leggere nel profondo, a cercare un redenzione.

La strada è una profezia spaventosa sulla miseria e sulla grandezza umana, sulla speranza disperata, sulla paura che dovremmo fare a noi stessi, e sugli abissi di luce che nostro malgrado siamo capaci di portare.

Originariamente postato qui: http://aubreymcfato.wordpress.com/2009/05/17/cormac-mccarthy-la-strada/

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Editore: Einaudi

Lingua: (DATO NON PRESENTE)

Numero di pagine: 218

Formato: (DATO NON PRESENTE)

ISBN-10: 8806185829

ISBN-13: 9788806185824

Data di pubblicazione: 2007

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La strada

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Un uomo e un bambino viaggiano attraverso le rovine di un mondo ridotto a cenere in direzione dell'oceano, dove forse i raggi raffreddati di un sole ormai livido cederanno un po' di tepore e qualche barlume di vita. Trascinano con sé sulla strada tutto ciò che nel nuovo equilibrio delle cose ha ancora valore: un carrello del supermercato con quel po' di cibo che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia gelida e una pistola con cui difendersi dalle bande di predoni che battono le strade decisi a sopravvivere a ogni costo. E poi il bene più prezioso: se stessi e il loro reciproco amore.

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Il mondo è quel che rimane dalla catastrofe. Strade disseminate di detriti, mulinelli lenti di cenere si alzano qua e là. Città scheletriche e depredate, campagne arse; le foreste non son altro che brulle distese di mozziconi neri che si ergono come lapidi di un cimitero esteso. Il cielo è plumbeo, non vedrai mai il sole e non distinguerai le ombre, la luce del giorno è un bagliore caliginoso. Le notti sono fredde e tenebrose, se facessi pochi passi non saresti mai sicuro di ritornare al punto di partenza. Sempre il silenzio, rotto talvolta da tuoni lontani o dal ticchettio di piogge malsane. In questa Geenna post-apocalittica pochi si contendono, in una disputa barbara, le poche risorse disponibili. Imbattersi in altri uomini è un potenziale pericolo, se possiedi un’arma puoi sperare. Ovunque saccheggi ed omicidi, potresti essere seguito. Le finestre sono occhi che guardano famelici, stai in guardia. Tu, uomo solo, e tuo figlio. Come trovare le parole per giustificare tutto questo, come soddisfare la curiosità puerile di un’anima pura e poi non allontanarsi la notte a pochi metri dal fuoco del bivacco per arrendersi ad un pianto disperato. Non farti sentire. I resti di una biblioteca incendiata. Scaffali ribaltati e libri bruciacchiati. “Un moto di rabbia di fronte a quelle migliaia di menzogne allineate rigo su rigo.” “Non avrebbe mai immaginato quanto valore potesse avere anche la più piccola osservazione sul mondo a venire.”

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Qui si sta stupefatti, si affronta la fase successiva di un avvenimento catastrofico che ha quasi distrutto la terra ed i suoi abitanti. Tante volte a distanza di mesi dalla lettura capita di pensare a questo romanzo “profetico”, ad aspetti della nostra vita contemporanea, dove il presente è totalmente scisso dal passato. E come nel romanzo ti chiedi: “Cosa è avvenuto, come è potuto accadere questo?” Si procede nel libro con tutta l’angoscia possibile, senza sapere il percorso, come il padre e il bambino. Quello che sappiamo è che non è un bel vedere, che siamo stremati, che vorremmo dire basta, che non riusciamo a fare lunghi discorsi. Quelle poche parole però sono essenziali ed nascono dal volersi bene assai. Il romanzo continua a tormentarti anche dopo i titoli di coda.

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"Quello che sta arrivando non si può fermare."

"Io ero a cavallo, e attraversavo le montagne di notte. Attraversavo un passo, in mezzo alle montagne. Faceva freddo, e a terra c'era la neve... Lui mi superava con il suo cavallo e andava avanti, continuava a cavalcare senza dire una parola. Lui... era avvolto in una coperta, e teneva la testa bassa. Mi ha sorpassato e io mi sono accorto che teneva una fiaccola, ricavata da un corno, come usava ai vecchi tempi, e il corno e la luce della fiamma che c'era dentro era come la luce della Luna... E nel sogno sapevo, che stava andando avanti, per accendere un fuoco da qualche parte, in mezzo a tutto quel buio e quel freddo... E che quando ci sarei arrivato l'avrei trovato lì."
Sceriffo Bell, Non è un paese per vecchi

Mi piace pensare che La strada sia semplicemente il momento in cui tutto quello che doveva arrivare è già arrivato.
E che la fiaccola sia il fuoco che dobbiamo portare.

La prosa di McCarthy è un deserto desolato, un esodo di frasi brevi e secche, che ripetono pedanti una vita di gesti stupidi e fondamentali. Un punto dietro l'altro, conosciamo ogni gesto di ogni mattina, il modo in cui si aprono le scatole di latta, come si piegano i teli polverosi dopo colazione, come si prepara il carrello per una altro giorno di niente, come si aggrotta un ciglio al cielo e si bestemmia per pregare.
Un luogo di parole senza vita, (e cenere e buio e polvere, che ad un certo punto ti manca la salivazione), una terra desolata di piccole luci e miserabili ferocie.
Il linguaggio della post-apocalissi è dunque pura paratassi, ripetizione incessante e inesorabile di azioni, abolizione della forma dialogo, minuti squarci nel silenzio per non disturbare troppo il bianco della pagina.
Niente virgolette, niente capitoli, ma un ansare dello stesso respiro, per rendere giustizia al dolore.

Su questo deserto di freddo, McCarthy ricostruisce l'umanità dall'interno, e sullo sfondo del niente ogni umanità ed ogni barbarie sono raddoppiate, decuplicate. La scena del bunker è commovente. Quella della cantina terrificante. Alla nebbia di fatica viene comunque contrapposto sempre un grumo di poesia, a chiudere ogni paragrafo. Che sia bestemmia o preghiera, od entrambe le cose. McCarthy non cede, per nostra fortuna, alla tentazione di non dare speranza. Ce l'infila a fatica, la mescola nel fango, ma non rinuncia a leggere nel profondo, a cercare un redenzione.

La strada è una profezia spaventosa sulla miseria e sulla grandezza umana, sulla speranza disperata, sulla paura che dovremmo fare a noi stessi, e sugli abissi di luce che nostro malgrado siamo capaci di portare.

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